02 novembre 2010

Né fuga, né giovani, né cervelli

fuga cervelli

Si parla molto di "fuga di giovani cervelli", di "futuro della ricerca". Una lettera al giornale "La Vanguardia" di una ricercatrice spagnola spiega chiaramente quanto siano sbagliate queste frasi fatte. Anche se si riferiscono alla realtà spagnola, queste riflessioni sono valide anche per l'Italia dove la situazione è, se possibile, anche più grave.

Smettiamo di parlare di "fuga", ci stanno cacciando. Smettiamo di parlare di "giovani", ormai non lo siamo più; l'implicazione è che siccome siamo giovani possiamo sopportare di tutto e comunque continueremo a lottare per il nostro ideale, ma non è così; molti ricercatori di questa generazione stanno pensando seriamente di abbandonare la scienza.

Smettiamo di parlare di "cervelli", ci stanno spersonalizzando; abbiamo stomaci da sfamare e abbiamo un cuore che ascoltiamo quando decidiamo di ritornare al nostro paese per essere più vicini alle nostre famiglie mentre continuiamo a fare ricerca, cuori che si spezzano quando ci dicono che si stracceranno in totale impunità i contratti che abbiamo firmato.

Smettiamo di parlare di "futuro"; l'implicazione è che trattandosi di futuro c'è sempre tempo, che la soluzione si può rimandare indefinitamente: non siamo il futuro, siamo il presente.

31 ottobre 2010

Viaggio a Itaca



Una famosa poesia di Kavafis tradotta in catalano da Carles Riba e musicata da Lluís Llach.

Quan surts per fer el viatge cap a Itaca,
has de pregar que el camí sigui llarg,
ple d'aventures, ple de coneixences.
Has de pregar que el camí sigui llarg,
que siguin moltes les matinades
que entraràs en un port que els teus ulls ignoraven,
i vagis a ciutats per aprendre dels que saben.

Tingues sempre al cor la idea d'Itaca.
Has d'arribar-hi, és el teu destí,
però no forcis gens la travessia.
És preferible que duri molts anys,
que siguis vell quan fondegis l'illa,
ric de tot el que hauràs guanyat fent el camí,
sense esperar que et doni més riqueses.

Itaca t'ha donat el bell viatge,
sense ella no hauries sortit.
I si la trobes pobra, no és que Itaca
t'hagi enganyat. Savi, com bé t'has fet,
sabràs el que volen dir les Itaques.

Quando parti per fare il viaggio verso Itaca,
devi pregare che il cammino sia lungo
pieno di avventure, pieno di conoscenze.
Devi pregare che il cammino sia lungo,
che siano molti i mattini
che entrerai in un porto che i tuoi occhi ignoravano
e che andrai nelle città per imparare da quelli che sanno.

Tieni sempre nel cuore l'idea di Itaca.
Devi arrivarci, è il tuo destino,
però non forzare per niente la traversata
è preferibile che duri molti anni
che tu sia vecchio quando approderai all'isola
ricco di tutto quello che avrai guadagnato per via,
senza aspettarti che ti dia altre ricchezze.

Itaca ti ha dato il bel viaggio
senza di lei non saresti partito.
E se la trovi povera, non è che Itaca
ti abbia ingannato. Saggio come ti sei fatto,
saprai cosa significano le Itache.


19 giugno 2010

L'ultimo evangelista

Marco Valdo M.I. è una creatura letteraria, un eteronimo, ma anche una persona vera che, da quando è comparsa sul nostro sito di canzoni contro la guerra lo ha arricchito con numerosissime traduzioni francesi e bellissimi commenti. Spesso gli capita di dialogare con Lucien Lane, Lucien l'asino, che è a sua volta un eteronimo di Marco Valdo M.I. Queste sono le parole con cui hanno salutato uno dei più grandi scrittori dell'ultimo mezzo secolo. Non ne potevo trovare di migliori, mi sono limitato a tradurle.

Oh! Lucien l'âne, il mio amico equino, l'ungulato severo e sorridente allo stesso tempo, ti ricordi del Portogallo, dell'alentejano, della torre lassù a Lisbona, del dio monco, dei ciechi, del vasaio, di quel popolo finalmente lucido che non voleva votare, di quella scrittura sorprendente e meravigliosa e dell'uomo che la scriveva... Ti ricordi del tempo dei garofani? Per dirla tutta, ti ricordi di José e di quella volta che l'hai portato sul dorso per condurlo a Lisbona un giorno di rivoluzione, tu che hai portato tanta gente nel corso dei secoli... Di quel José che fu falegname e fabbro, di quel José che, manovale intellettuale, anche lui, rivoluzionò la punteggiatura dei romanzi... José che ci insegnò gli eteronimi, José, l'ultimo evangelista e senza dubbio il più vero.

Eccome che me ne ricordo... Era un tempo irragionevole, i carri armati si fermavano ai semafori rossi, i fiori spuntavano dai fucili, il popolo era in festa e i soldati pacifisti. Un gran momento, credimi. E lui, l'evangelista, era come tutti gli altri: felice. Mi ricordo anche che hai scritto una canzone, e le hai dato il titolo di un suo romanzo, "L'assedio di Lisbona". Mi ricordo...

Ebbene, José l'evangelista ci ha appena lasciati. Non scriverà più.

Cosa? Come? Quando? Proprio adesso, oggi... che terrore mi prende d'un tratto... Sto tremando, sono completamente sconvolto.

Ah, Lucien, il mio amico asino, riprenditi, per quanto triste la cosa era inevitabile, come lo sarà per noi. Il gioco delle ombre è finito, il filosofo ha lasciato la caverna. La morte, vecchia compagna, eroina d'uno dei suoi ultimi romanzi non gli ha indirizzato nessuna lettera di colore viola, è venuta direttamente a parlargli d'amore. Gli ha detto, come allo Zio Archibald di Georges Brassens: « È da tanto tempo che ti amo, e il nostro bello sposalizio era previsto fin dal giorno che ti han battezzato. Se ti stendi fra le mie braccia allora la vita ti sembrerà più facile, sarai fuori della portata dei cani, dei lupi, degli uomini e degli imbecilli.». È tutto quello che gli auguriamo.

24 maggio 2010

Cantares


Todo pasa y todo queda,
pero lo nuestro es pasar,
pasar haciendo caminos,
caminos sobre la mar.

Nunca perseguí la gloria,
ni dejar en la memoria
de los hombres mi canción;
yo amo los mundos sutiles,
ingrávidos y gentiles,
como pompas de jabón.

Me gusta verlos pintarse
de sol y grana, volar
bajo el cielo azul, temblar
súbitamente y quebrarse...
Nunca perseguí la gloria.

Caminante, son tus huellas
el camino y nada más;
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.

Al andar se hace camino
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.

Caminante no hay camino
sino estelas en la mar...

Hace algún tiempo en ese lugar
donde hoy los bosques se visten de espinos
se oyó la voz de un poeta gritar:
«Caminante no hay camino,
se hace camino al andar...»
Golpe a golpe, verso a verso...

Murió el poeta lejos del hogar.
Le cubre el polvo de un país vecino.
Al alejarse le vieron llorar.
«Caminante no hay camino,
se hace camino al andar...»
Golpe a golpe, verso a verso...

Cuando el jilguero no puede cantar,
cuando el poeta es un peregrino,
cuando de nada nos sirve rezar.
«Caminante no hay camino,
se hace camino al andar...»
Golpe a golpe, verso a verso.
Tutto passa e tutto resta,
però il nostro è passare,
passare facendo cammini,
cammini sopra il mare.

Mai cercai la gloria,
né di lasciare nella memoria
degli uomini la mia canzone,
io amo i mondi delicati,
lievi e gentili,
come bolle di sapone.

Mi piace vederli dipingersi
di giallo e scarlatto, volare
sotto il cielo azzurro, tremare
improvvisamente e scoppiare...
Mai cercai la gloria.

Viandante, sono le tue orme
il cammino e niente più;
viandante, non c'è cammino,
si fa il cammino camminando.

Camminando si fa il cammino
e voltando indietro lo sguardo
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calpestare.

Viandante non c'è cammino,
ma solamente scie nel mare...

Un tempo in questo luogo
dove oggi i boschi si vestono di biancospino,
si udì la voce di un poeta gridare
«Viandante non c'è cammino,
si fa il cammino camminando...»
Colpo dopo colpo, verso dopo verso...

Morì il poeta lontano dal focolare.
Lo copre la polvere di un paese vicino.
Allontanandosi lo videro piangere.
«Viandante non c'è cammino,
il cammino si fa camminando...»
Colpo dopo colpo, verso dopo verso...

Quando il cardellino non può cantare.
Quando il poeta è un pellegrino,
quando non ci serve a nulla pregare.
«Viandante non c'è cammino,
il cammino si fa camminando...»
Colpo dopo colpo, verso dopo verso...

Antonio Machado e Joan Manuel Serrat, Cantares. (1912/1969)