24 dicembre 2007

Una favola newyorkese

Di tutte le canzoni di Natale, questa è di gran lunga la mia preferita. Forse perché il Natale fa solo da sfondo a questa storia di immigrati a New York.
Un barbone che si ritrova a passare la vigilia di Natale nella cella degli ubriachi, quando sente cantare una vecchia canzone irlandese corre con i ricordi ad un vecchio amore, ai suoi sogni americani impossibili da realizzare.
Due interpreti fantastici, un impareggiabile duetto di insulti reciproci tra la voce melodiosa di Kirsty MacColl e quella roca di Shane MacGowan.
La povera Kirsty è morta sette anni fa in un tragico incidente, non so che fino abbia fatto l'ex cantante dei Pogues. Forse anche lui sta smaltendo una sbornia, stasera, pensando a questa vecchia canzone.

Christmas in New York
Era la vigilia di Natale
Nella cella degli ubriachi
Un vecchio mi disse che non ne avrebbe vista un'altra
E poi cantò una canzone
"The Rare Old Mountain Dew"
mi sono girato dall'altra parte
E ti ho sognata

Ho scommesso su un cavallo fortunato
ho vinto diciotto a uno
Ho la sensazione
Che quest'anno sia per me e per te
Quindi buon natale
Ti amo piccola
riesco intravedere tempi migliori
quando i nostri sogni si avvereranno

Hanno auto grandi come bar
hanno fiumi d'oro
ma il vento ti passa attraverso
non è un posto da vecchi
Quando mi hai preso la mano la prima volta
in una fredda viglia di Natale
Mi hai promesso
che Brodway stava aspettando me

Eri bello
Eri carina
la regina di New York City
Quando la banda smise di suonare
chiesero il bis
Sinatra suonava lo swing
Gli ubriachi cantavano
Ci baciammo in un angolo
e ballammo nella notte

I ragazzi del coro del New York Police Department
cantavano "Galway Bay"
e le campane suonavano
per il Natale

Sei un barbone
sei un teppista
Sei una vecchia troia drogata
Là sdraiata mezza morta ubriaca fradicia in quel letto
Tu preservativo tu verme
Tu piccolo insignificante frocio
Buon natale coglione, prego Dio che sia l'ultimo per noi

I ragazzi del coro del New York Police Department
cantavano "Galway Bay"
e le campane suonavano
per il Natale

Avrei potuto essere qualcuno
Beh, come chiunque
Mi hai portato via i miei sogni
Quando ti avevo appena trovato
Li ho tenuti con me
Li ho messi via con i miei
Non ce la posso fare da solo
Ho costruito i miei sogni attorno a te

I ragazzi del coro del New York Police Department
cantavano "Galway Bay"
e le campane suonavano
per il Natale

13 dicembre 2007

L'informazione spogliata

Se volete comparire sulla prima pagina di Repubblica on line, il portale di informazione più cliccato d'Italia, una ricetta sicura c'è: spogliatevi!
In mancanza di un fisico da modella o da culturista potete comunque ottenere visibilità spogliandovi per una buona causa qualsiasi. Ci sono quelle che si spogliano per protestare contro le pellicce, quelli nudi per protesta contro il maltrattamento degli animali ma ci si può spogliare un po' per qualsiasi motivo, "per l'Amazzonia o per la pecunia". Addirittura esiste anche "il calendario delle casalinghe romagnole che si spogliano per salvare il governo Prodi" (giuro, ho visto anche questo, anche se purtroppo non sono riuscito a catturare l'immagine).

Infatti sulla home page di quello che era una volta un quotidiano quasi serioso, che aspettò anni prima di introdurre il colore in prima pagina, si trova oggi una cliccatissima sezione dedicata al gossip, ai calendari, alle "curiosità" e soprattutto a quelli che si spogliano.

Notizie importanti su La Repubblica

Qualche bigotto a questo punto potrebbe scrivere una predica contro la mancanza di morale, o qualche compagna veterofemminista potrebbe attaccare la mercificazione del corpo femminile spacciata come liberazione... ecc.. ecc..

Ma il problema è diverso. È che in questo modo si confondono i ruoli. Un po' come i telefonini che fanno le foto, i filmini, il lettore mp3 e il browser internet. Non li sopporto. Il telefono secondo me si usa per chiamare e mandare i messaggi. Se vuoi fare una foto ti compri una macchina fotografica... Allo stesso modo, se vuoi vedere il calendario Italian Fetish, vai su un sito di calendari con le donne nude. Se vuoi vedere il calendario dei nuotatori omosessuali, vai su un sito gay. Se vuoi vedere il calendario dei preti vai sul sito del Vaticano. Sul sito di un giornale ci si va invece per essere informati, più o meno male, su quello che succede nel mondo.

Che poi capisco che a qualcuno faccia anche comodo la scusa intellettuale: "no ma io volevo sapere come si chiamavano i partiti oggi, Alleanza per l'Italia, la sinistra e l'arcobaleno, il partito popular populista, cambiano in continuazione e io mi devo pur tener aggiornato... poi ho visto questo servizio sugli ultimi accessori sado-maso e non ho potuto fare a meno di aprire la galleria fotografica...".

Ma questo è lo stato dell'informazione oggi. I contenuti, i commenti, le analisi sono tutte cose noiose e passate di moda. Si correrebbe il rischio di capire davvero qualcosa. Meglio la curiosità morbosa, il video della sparatoria, le facce del giorno (ma dovrebbero chiamarle "le tette del giorno"!), le foto dei funerali: l'importante è guardare. Il trionfo dei guardoni.

11 dicembre 2007

Premio Nobel per la pace a Piero Angela

Propongo di assegnare il premio Nobel per la pace dell'anno prossimo a Piero Angela.

Certo, la divulgazione scientifica ha dei limiti e Viaggio nel cosmo era decisamente noioso, però sicuramente durante le puntate di Quark il buon Piero ha spiegato i rischi dei mutamenti climatici in maniera molto più chiara, rigorosa e coinvolgente che nel documentario per bambini deficienti di Al Gore.

Inoltre Piero Angela non è mai stato vicepresidente degli Stati Uniti e non ha mai fatto bombardare nessun paese.
La raccolta di firme è aperta!

Piero Angela
Nella foto: Piero Angela mostra uno scenario del possibile futuro del pianeta quando, in seguito al riscaldamento globale, i dinosauri soppianteranno gli umani.

21 novembre 2007

Somebody's sins... not mine!

Volevo scrivere dell'ultimo album di Patti Smith, Twelve. Dodici cover di dodici grandi canzoni degli ultimi quarant'anni. Ma poi mi è venuto in mente che più di trent'anni fa Patti Smith già interpretava canzoni scritte da altri. Nel caso di Gloria, però, la definizione di interpretazione è decisamente limitante.

Il pezzo originale era il grande successo degli Them, la band dell'irlandese Van Morrison. La forza della canzone stava nella sua semplicità. C'è chi parlava di tre accordi e la verità, ma in questo caso la verità passa in secondo piano: c'erano solo tre accordi, e talmente di base che l'umorista americano Dave Barry disse che prendendo una chitarra e facendola cadere per le scale... avrebbe suonato Gloria prima di arrivare in fondo.

Patti Smith utilizza il pezzo di Morrison, che era diventato uno standard del garage rock, come una tela su cui dipingere una storia moderna e poetica di trasgressione e peccato. Giocando sul nome non certo casuale della protagonista, trasforma Gloria in una rivendicazione dei propri peccati, esplicitando fino alla volgarità i riferimenti sessuali dell'originale, e - la cosa più spiazzante - raccontando quest'avventura metropolitana da un punto di vista tipicamente maschile.
Dal monologo iniziale accompagnato dal pianoforte un crescendo di chitarre ci conduce agli albori del punk e della new wave, in un delirio di suoni trascinante, provocatorio e provocante destinato a fare storia.

La traduzione della prima strofa è tratta dal blog di Babsi Jones, che non a caso la usa in un post che parla di omosessualità (è comunque una canzone cantata da una donna innamorata di un'altra donna), il resto è opera mia, con l'aiuto di Riccardo che mi ha confermato... quello che succede sul parchimetro.

GLORIA (IN EXCELSIS DEO)
Patti Smith 1975
Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non per i miei
mescolata a una ciurma di ladroni
ho un asso nella manica
un cuore duro come la pietra
i miei peccati sono miei
mi appartengono

La gente dice attenta!
ma non ci faccio caso
le parole sono solo
regole e regolamenti per me, me

Entro in una stanza, sai sembro così fiera
mi muovo in questa atmosfera, beh, tutto è permesso
e vado a questa festa, ma mi annoio e basta
Finché guardo fuori dalla finestra, vedo una cosa dolce e giovane
scopare appoggiata al parchimetro
oh, è così bella, oh è così meravigliosa
e ho questa sensazione folle e decido che la farò mia
le getterò un incantesimo

Eccola che arriva
camminando giù per la strada
ecco che arriva
entrando dalla porta
Ecco che arriva
strisciando su per le scale
Ecco che arriva
ballando il valzer nella sala
in un bel vestito rosso
E oh, è così bella, oh, è così meravigliosa
E ho questa sensazione folle e decido che la farò mia

E poi sento bussare alla porta
sento bussare alla porta
e guardo in alto verso la grande torre dell'orologio
e dico, oh mio dio, è mezzanotte
e la mia piccola sta entrando dalla porta
chinandosi sul divano mi sussurra qualcosa e io mi ci tuffo a pesce
E oh, era così bella e oh, era così meravigliosa
E voglio dire al mondo che l'ho appena fatta mia

E ho detto cara, dimmi il tuo nome, mi ha detto il suo nome,
me l'ha sussurrato, mi ha detto il nome
Ed il suo nome è, il suo nome è, ed il suo none è g-l-o-r-i-a
G-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria
G-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria

Ero allo stadio
C'erano ventimila ragazze che mi gridavano i loro nomi
Marie e Ruth, ma a dire il vero
Non le ho sentite, non le ho viste
ho lasciato che gli occhi si alzassero verso la grande torre dell'orologio
e ho sentito quelle campane suonare nel mio cuore
e fare ding dong ding dong ding dong ding dong.
Ding dong ding dong ding dong ding dong
contando i minuti, poi sei venuta nella mia stanza
e mi hai sussurrato qualcosa e abbiamo fatto un grande tuffo
e oh eri cosi bella, oh, eri così meravigliosa
E ho dovuto dire al mondo che l'ho fatta mia, l'ho fatta mia
fatta mia fatta mia

G-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria,
G-l-o-r-i-a gloria

E le campane della torre suonano, ding dong suonano
Cantano Gesù è morto per i peccati di qualcuno, ma non per i miei

Gloria g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a,
Gloria g-l-o-r-i-a, g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria
G-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria,
G-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria,
G-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria g-l-o-r-i-a gloria .

06 novembre 2007

Powers & Supplies: 6. Giammai con timore

"Vaciló y con esa voz llana, impersonal, a que solemos recurrir para confiar algo muy íntimo, dijo que para terminar el poema le era indispensable la casa, pues en un ángulo del sótano había un Aleph. Aclaró que un Aleph es uno de los puntos del espacio que contienen todos los puntos."
(Jorge Luis Borges,
El Aleph, 1949)

"En Ginebra me siento misteriosamente feliz"
(Jorge Luis Borges,
lettera all'agenzia di stampa EFE, 6/5/1986)


Il cimitero di Plainpalais sorge sulla riva sinistra del Rodano, non lontano dal centro di Ginevra, vi si accede dal numero 10 di Rue de Rois. Per trovare la tomba di Jorge Luis Borges, la numero 735 nella zona D-6, bisogna lasciarsi alle spalle sentieri che si biforcano, alberi antichi, cespugli ben curati e qualche fontana. La pietra della lapide è grezza e bianca, essenziale e concisa, come lo stile dello scrittore argentino. In alto si legge "Jorge Luis Borges", più in basso, sotto un'incisione con sette figure umane (forse vichinghi), è incisa un'iscrizione in inglese arcaico,"And ne forhtedon na". Infine sono riportate le date astratte che segnano gli estremi della vita dello scrittore: 1899-1986. La frase inglese significa "Giammai con timore!" ed è ripresa da un poema epico del X secolo in cui un guerriero arringa i suoi uomini prima della battaglia, affinché non abbiano paura della morte.

La tomba di Borges

"Certo non è la tomba di Jim Morrison... ma è interessante. Quindi almeno questo è vero, Borges sepolto qui a Ginevra. Ma perché proprio qui?"
In realtà Giovanni si stava chiedendo soprattutto perché fossero venuti in quel cimitero, uscendo prima dal lavoro un venerdì pomeriggio, per il gusto di dare ascolto alle parole di un folle.
"Sembra che Borges amasse molto Ginevra", spiegò Irene, "ci passò gli ultimi anni della sua vita e diceva addirittura che la città gli piaceva così tanto che qui si sentiva misteriosamente felice, te lo puedes creer? Cosa ci avrà mai trovato?"
"Sì, per forza gli piaceva. Era cieco..."
Naturalmente la risata di Irene scattò immediatamente attirando l'attenzione del guardiano del camposanto.
"Per favore, signorina, un po' di rispetto per questo luogo di pace eterna, e comunque sono quasi le cinque e mezza e vi devo pregare di uscire perché il cimitero chiude tra pochi minuti.".
In quella città chiudeva tutto tra le cinque e le sei del pomeriggio.

La ragione per cui Borges doveva rientrare nel Piano era evidente. Bastava pensare ai nomi dei quattro rivelatori di LEP, l'acceleratore che aveva funzionato al CERN dal 1989 al 2000. Delphi, L3, OPAL e... Aleph. Aleph, la prima lettera dell'alfabeto ebraico, dà il nome al punto dello spazio che contiene tutti i punti dell'universo. La conoscenza suprema, l'ombelico del mondo, il pozzo dell'immaginazione, il centro nevralgico dell'universo dove nasce l'energia.
Ecco svelato il mistero della felicità di Borges a Ginevra: stava prendendo parte al Progetto che inseguiva da una vita, esplorando nei suoi racconti il mistero delle infinite possibilità e della Conoscenza Assoluta, che si sarebbe realizzato quando nell'Aleph si sarebbe raggiunta l'energia sufficiente per aprire una finestra su tutto quello che è, che fu e che sarà, in un raggio miliardi di anni e milioni d'anni luce attraverso tutto lo spazio-tempo. La morte dello scrittore tre anni prima dell'inaugurazione dell'esperimento avrebbe fatto fallire il progetto. Si era scoperto che l'energia prodotta dal LEP non era abbastanza, ecco perché si era deciso di costruire un nuovo acceleratore, LHC.

Almeno questo era quello che sosteneva l'ispettor Varrin che, dopo l'increscioso incidente all'Hardronic Festival, aveva ancora segretamente continuato a cercare una pista occulta per il delitto. Dopo un mese di indagini che non avevano portato a niente, si era risolto a confidare a Giovanni la sua idea. La notte del 24 agosto, 108 anni dopo la nascita di Jorge Luis Borges, gli assassini si sarebbero radunati come tutti gli anni sulla sua tomba alla mezzanotte esatta per mettersi in comunicazione con il defunto e chiedergli consiglio. Probabilmente un'altra evocazione dello spirito di Borges si era svolta nove giorni prima del delitto, il 14 giugno, per il ventunesimo anniversario della sua morte. Quella notte sarebbe stata ricca di sorprese, ma il cimitero chiudeva alle cinque e mezzo.

"Ora bisogna trovare un modo di rientrare dentro prima di sera. - disse Giovanni - Hai paura dei cimiteri di notte, Irene?"
"Chi io?", disse Irene, che era famosa per essere incapace di guardare qualunque film anche lontanamente horror, "assolutamente no, la paura della morte l'ho superata a cinque anni. Ero andata ad Atene con i miei genitori. Mi avevano regalato un libro sull'Antica Grecia e quindi puoi immaginare il mio entusiasmo quando mi portarono al Partenone. E allora ho chiesto a mio padre:
'Papi, papi, ma davvero queste cose le hanno costruite gli antichi greci?'
'Sì, Irene, certo.'
'E dove sono gli antichi greci adesso?'
'Beh, Irene, gli antichi greci... sono morti.'
'tutti?!?'
e allora... iniziai a piangere come una disperata", ma mentre lo raccontava ora rideva come una pazza, "mentre mio padre non si teneva dal ridere... Comunque dopo quella volta ho superato questa paura e non ho... quasi... più paura dei cimiteri di notte."

Aspettarono qualche ora poi tirarono fuori un'imbracatura di sicurezza che avevano preso al CERN e che veniva utilizzata normalmente per lavorare sulle impalcature ("safety first!") e si arrampicarono uno dopo l'altra oltre la recinzione del cimitero.

Alle undici e mezzo, nascosti in una cripta poco lontana dalla tomba di Borges, sentirono dei passi avvicinarsi. Un gruppo di una quindicina di individui si radunò nella radura intorno alla lapide dello scrittore. Non potevano capire i discorsi ma si rendevano conto che il gruppo stava organizzando qualcosa.

A mezzanotte una potente lampada illuminò il gruppo e l'ispettor Varrin fece la sua apparizione con la pistola in mano.
"Polizia! Mani in alto, allontanatevi immediatamente dalla tomba di Borges!"
Ma la scena illuminata risultava ben diversa da una riunione esoterica per comunicare con un defunto. Nessuna traccia di medium, solo un gruppo di ragazzi spaventati, uno dei quali tentava di nascondere precipitosamente quello che stava fumando. L'unica cosa strana erano alcuni barattoli di vernice bianca pronti all'uso. Alla fine quello che sembrava il leader si fece avanti e parlò: "Ok, d'accordo, lo ammettiamo. Siamo noi quello che hanno modificato tutti i manifesti elettorali dell'UDC, abbiamo attaccato noi i lupi che cacciano le pecore bianche e abbiamo scritto 'fuori l'UDC dalla Svizzera per più sicurezza'. Però, mi sembra una reazione un po' spropositata mandare la polizia a spararci... non le pare?".
L'ispettor Varrin rimase senza parole. Anche lui aveva assistito alla campagna di propaganda razzista del principale partito svizzero contro gli immigrati, con la pecora nera buttata fuori a calci dalla svizzera. In fondo era un democratico, e anche lui era rimasto scandalizzato. Aveva pensato anche che magari sarebbe toccato a lui buttare fuori le "pecore nere", e non ne era particolarmente felice.
"Ma quindi non... stavate... cercando di mettervi in contatto con lo spirito di Borges?"
"Con lo spirito di chi?"
"Ok, cioè allora.. cioè.. mi scuso... quindi.. ma allora perché vi trovate qui a quest'ora?"
"Eh prima ci trovavamo nell'unica casa occupata di Ginevra, ma poi ci hanno buttato fuori. Hanno detto che l'esperienza dell'occupazione non aveva più senso perché l'alloggio non è più un problema in città... "
"Ok ragazzi, allora... andate pure... fate un buon lavoro con quei manifesti razzisti... ma mi raccomando non dite che un ufficiale di polizia vi ha incoraggiato, e soprattutto non fate parola della storia di Borges"
Di fronte a una scena tanto assurda la risata di Irene era inevitabile, così i due uscirono dal nascondiglio e si avvicinarono a Varrin.
"Quindi, ispettore, nessun complotto internazionale?"
"Ma cosa ci fate voi due qui? Vi avevo proibito di venire"
"Sì ma se la storia fosse stata vera non ci volevamo perdere lo spettacolo. Cioè in realtà non ce lo volevamo perdere in ogni caso."
In quel momento suonò il cellulare dell'ispettore.
"Che imbecille, non avevo neanche spento la suoneria con il rischio di farmi scoprire dagli assassini... Pronto? Sì commissario, come? hanno scoperto chi è la vittima? l'hanno riconosciuta? e perché solo adesso? ah pensavano fosse in viaggio, capisco. E di chi si tratta? Come? Età? Professione? Ah, agente immobiliare. Capisco.".

(6 - continua...)

28 ottobre 2007

Amoureux et amants

Mi piace pensare che questi due classici della canzone francese siano in qualche modo legati. Sono due canzoni diversissime, che riflettono il carattere dei loro autori: irriverente e ironico Brassens, melodico e struggente Brel.
Ma sarebbe bello se gli innamorati della prima canzone si ritrovassero ad essere dopo trent'anni i protagonisti della seconda. Quel benessere sicuro che sognano i giovani innamorati non è molto diverso dalla vita della famiglia borghese che si scandalizza ipocritamente quando li incrocia, ma sarebbe un peccato che finisse così, perché, come dice Brel, non c'è trappola peggiore che vivere in pace per degli amanti, amarsi con monotonia.

GLI INNAMORATI DELLE PANCHINE
(Les amoureux des bancs publics)
Georges Brassens 1954
Georges Brassens
La gente che vede di traverso
pensa che le panchine verdi
che si vedono sui marciapiedi
siano fatte per gli invalidi o per gli obesi
Ma questa è un'assurdità
ché in verità
son là, com'è ben noto
per accogliere qualche volta gli amori debuttanti

Gli innamorati che si sbaciucchiano sulle panchine
fregandosene degli sguardi obliqui
dei passanti onesti
Gli innamorati che si sbaciucchiano sulle panchine
dicendosi dei "Ti amo" patetici
hanno dei visini così simpatici
Les Amoureux des bancs publics
Si tengono per la mano
parlano del domani
della carta da parati azzurra
che rivestirà i muri della loro camera da letto
Si vedono già dolcemente
Lei a cucire, lui a fumare
In un benessere sicuro
e a scegliere il nome del loro primo bambino

Quando la sacra famiglia Tal dei Tali
incrocia sul suo cammino
due di questi screanzati
li squadra severamente con propositi velenosi
Ciò non impedisce che tutta la famiglia
Il padre, la madre, la figlia,
il figlio, lo spirito santo
vorrebbe qualche volta potersi comportare come loro

Quando i mesi saranno passati,
quando saranno appassiti
i loro bei sogni fiammanti
quando il loro cielo si coprirà di grandi nuvole pesanti
S'accorgeranno emozionati
che è al rischio delle strade
su una di quelle famose panchine
che han vissuto il miglior momento del loro amore

LA CANZONE DEI VECCHI AMANTI
(La chanson des vieux amants)
Jacques Brel 1967
Jacques Brel
Sicuro ci furono dei temporali
Vent'anni d'amore, è l'amore folle
Mille volte hai preso le valigie
Mille volte ho preso il volo
Ed ogni mobile si ricorda
In questa stanza senza culla
le schegge delle vecchie tempeste
Più nulla assomigliava a nulla
Avevi perduto il gusto dell'acqua
Ed io quello della conquista

Ma mio amore
Mio dolce mio tenero, meraviglioso amore
Dall'alba chiara fino alla fine del giorno
Ti amo ancora sai ti amo

Io so tutti i tuoi sortilegi
Tu sai tutti i mei incantesimi
Mi hai tenuto di tranello in tranello
Ti ho perduto di quando in quando
Certo, hai preso qualche amante
bisognava pur passare il tempo
bisogna pure che il corpo esulti
Ma alla fine, alla fine
ce n'è voluto di talento
per invecchiare senza essere adulti

Mio amore
Mio dolce mio tenero, meraviglioso amore
Dall'alba chiara fino alla fine del giorno
Ti amo ancora sai ti amo

E più che il tempo ci fa seguito
E più il tempo ci dà tormento
Ma non c'è trappola peggiore
Che vivere in pace per degli amanti
Certo tu piangi un po' meno presto
io mi dispero un po' più tardi
proteggiamo meno i nostri misteri
si lascia meno fare al caso
ci fidiamo meno della corrente
ma è sempre la stessa dolce guerra

Mio amore
Mio dolce mio tenero, meraviglioso amore
Dall'alba chiara fino alla fine del giorno
Ti amo ancora sai ti amo

21 ottobre 2007

Balkan "express"

Il diario di viaggio è venuto molto lungo. Se proprio non ce la fate, leggetelo a puntate (una città al giorno, dai)

Belgrado

"È difficile dire dove e da che parte sia Belgrado, afferrare l'identità proteiforme e la straordinaria vitalità di questa incredibile città che è stata tante volte distrutta e che tante volte è risorta, cancellando le tracce del suo passato."
(Claudio Magris, Danubio)

Belgrado sorge alla confluenza di due fiumi, nel punto dove la Sava si getta nel Danubio. Guardando il panorama dalla fortezza di Kalemegdan, tuttavia, non è immediato distinguere un fiume dall'altro, e solo con una cartina alla mano si capisce infine che il vero fiume di Belgrado, quello dove sorgono i ponti principali, è la Sava, più che il Danubio. Lo stesso fiume che passa da Zagabria!

Quattro secoli di storia serba sono segnati dalla lotta contro i turchi, eppure il principale monumento di Belgrado, alla cui pulizia lavorano più spazzini che nel resto della Serbia, è una fortezza militare turca, e anche nel resto della città molti elementi dell'architettura ricordano la dominazione ottomana. Solo a pochi chilometri, sull'altra sponda del Danubio, stretto tra orribili palazzoni in stile socialismo reale, sorge il paesino di Zemun con le sue casette in stile austriaco. Il Danubio ha infatti segnato a lungo il confine tra i due grandi imperi, quello austro-ungarico a nord e quello ottomano a sud.

Fortezza di Kalemegdan

Oltre a Danubio di Magris, un compagno imprescindibile per chi viaggia nelle terre bagnate da questo grande fiume, ci guidano nella capitale serba ben due guide turistiche: la "Lonely planet" chiamata "Balcani occidentali" (una definizione ardita coniata per designare i paesi dell'ex Jugoslavia più l'Albania) e "Serbia a portata di mano". Le due guide sono spesso in aperto contrasto, soprattutto per quanto riguarda l'introduzione storica: la Lonely Planet sembra scritta da Massimo D'Alema, l'altra da Peter Handke... per esempio nel presentare la questione kosovara, una scrive

Nel marzo del 1999 i colloqui di pace a Parigi fallirono, quando la Serbia rifiutò di appoggiare un piano patrocinato dagli USA. In risposta alla resistenza in Kossovo, le truppe serbe procedettero alla 'pulizia etnica' del paese ai danni della popolazione albanese.

e l'altra...

La meridionale provincia autonoma serba è amministrata dall'ONU dal 1999, a seguito della guerra in cui la NATO appoggiò i terroristi albanesi-kosovari contro i serbi. Da allora oltre 250 mila non albanesi hanno lasciato la provincia ed i pochi serbi rimasti sono abbandonati nella paura della loro esistenza quotidiana, ridotti in enclave assediate e ghetti cittadini.

La Lonely Planet è però più utile per trovare un posto dove mangiare, è così che ci troviamo al "?", un locale che si sarebbe dovuto chiamare "Caffé della cattedrale" ma i prelati della vicina cattedrale ortodossa si opposero in ogni maniera costringendo il proprietario ad adottare questo nome particolare per protesta. Particolare è anche la scena da film di Kusturica a cui assistiamo: quando inizia a piovere, i camerieri trasportano prontamente un intero tavolo, con tutte le pietanze, dal cortile all'interno del ristorante. Rimane una ragazza con un piatto in mano e senza tavolo, ed una zucca per terra.
Diciamo subito che la vita di un vegetariano serbo dev'essere molto difficile. Il piatto nazionale, la punjena bela vešalica, consiste in carne di maiale ripiena di pancetta e prosciutto cotto, ricoperta di formaggio fuso. Per colazione, il piatto balcanico per eccellenza è il Burek. Si tratta del cibo più unto che mente umana possa concepire, una sfoglia con dentro carne o formaggio da accompagnare con lo yogurt. Dopo qualche giorno di questa dieta uno stomaco italiano richiederà con insistenza una pasta con il pomodorino fresco. Senza soffritto di cipolla, semmai uno spicchio d'aglio.

Per le strade di Belgrado sono numerosissimi i venditori degli oggetti più disparati, a volte però i banchini con gli articoli sono sprovvisti di venditore, come nel caso di una rivendita di LP usati, tra i quali troviamo, a soli 50 dinari (60 centesimi) l'uno, anche quelli del famoso cantautore serbo Ɖorđe Balašević (il "De André serbo"). Aspettiamo per un po', poi, visto che non c'è l'ombra del proprietario del banchino, decidiamo di prendere i dischi ("self service balcanico") lasciando i soldi accompagnati da un bigliettino di spiegazioni.

Nel nostro viaggio abbiamo un indubbio vantaggio rispetto ad altri turisti: conoscere la lingua. Cioè, non so perché sto usando il plurale, dato che chi parla serbo-croato (ops... l'ho scritto) è solo la Monia, anche se il Maso durante il viaggio si stupirà più volte di capire molto più di quello che avrebbe mai creduto. Già dal primo contatto con la gente del luogo, il tassista che ci porta dall'aeroporto all'albergo, appare evidente che a tutti fa un piacere immenso trovare una straniera che parla la loro lingua. Iniziano così lunghe chiacchierate, l'unica accortezza è cambiare il nome della lingua ("ho studiato serbo / croato / bosniaco") con risultati anche comici ("Dove hai studiato serbo?" "Ehmmm... a Zagabria...") e stare attenta alle poche parole che cambiano (che, sfortunatamente, sono anche quelle più comuni). I serbi sembrano comunque molto più tolleranti in materia linguistica e sono disposti tranquillamente a parlare ancora di lingua serbo-croata. Il tassista, comunque, era bosniaco e ci informa gentilmente che a Belgrado non c'è niente da vedere e che ai serbi piace soltanto cantare, bere e divertirsi e non sono grandi lavoratori come i bosniaci. Spiega anche la profonda differenza tra la lingua serba e quella bosniaca: la lunghezza delle vocali. "Loro dicono pivo, noi bosniaci diciamo piiivo!". Proprio le birre sono uno specchio delle dispute linguistiche: Jelen pivo, Ožujsko pivo, Sarajevsko pivo, nomi diversi ma tutte lo stesso sapore.

Da Belgrado a Sarajevo

Autobus balcanicoPaolo Rumiz scrive che nei Balcani il tempo si dilata, che è un modo poetico per dire che le velocità diminuiscono. Il tragitto Belgrado-Sarajevo, infatti, è servito da un pullman che impiega 7 ore a percorrere 320 km. La velocità dipende certo dallo stato delle strade (che secondo la guida della Serbia oscilla "tra l'accettabile e il trasandato") ma anche dalle frequenti fermate (infatti chiunque può chiedere al conducente di fermarsi anche in aperta campagna per lasciarlo vicino a casa) e dalla presenza sulla carreggiata di carri trainati dai cavalli o di mucche.

Impariamo che spesso sugli autobus balcanici compaiono due figure professionali ben distinte: l'autista, esperto conoscitore delle stradine di campagna che percorre a tutta velocità al ritmo di turbofolk serbo, ed il bigliettaio, il cui compito consiste nel conversare con il conducente, controllare i biglietti ai passeggeri, annunciare a voce alta il nome di ogni fermata, dove a volte deve anche scendere a timbrare un foglio. Sull'autobus per Sarajevo compare però anche un terzo personaggio, probabilmente un amico del bigliettaio, che lo aiuta nel difficile lavoro.
Il sedile accanto all'autista, occupato di solito dal bigliettaio, è ribaltabile e deve essere spostato ogni volta che qualcuno deve salire o scendere. Sulle linee dove la figura professionale del bigliettaio non è presente, questo posto è occupato da un altro passeggero, a cui tocca anche il compito di lavare il vetro. "Lavare il vetro" significa spruzzarlo con il vetril ed aspettare che il sapone scenda liberamente.

Come recita la Lonely Planet, Sarajevo "vanta ben due stazioni degli autobus". Non si sa cosa ci sia da vantarsi, dato che le due stazioni riflettono la divisione della città dopo la guerra: una serve solo le destinazioni nella Repubblica Serba di Bosnia ed in Serbia, mentre l'altra serve la Federazione croato-musulmana ed il resto d'Europa. Noi arriviamo quindi alla stazione est, dopo una sosta nella cittadina di Pale, quella che nessun giornalista occidentale nominava senza farla precedere dall'epiteto "famigerata" o "roccaforte dei serbo-bosniaci".

Serbo-bosniaco è anche il signore che viaggia con noi per tornare a casa, e che immancabilmente comincia a raccontare alla Monia la sua storia. Quando è scoppiata la guerra, sua moglie era incinta del secondo figlio, mentre la prima aveva tre anni. Dopo quattro anni nella Sarajevo assediata, tra granate e impossibilità di prendere un caffé dai parenti al di là della linea del fronte, ha vissuto sette anni a Bratunac, un paesino sperduto vicino a Srebrenica. "Ognuno racconta la sua versione della guerra", dice, "tutti pensano di aver ragione, ma hanno tutti torto. Con Tito, comunque, questo non sarebbe successo, non avrebbe lasciato le basi militari agli americani. Prima della guerra potevo viaggiare liberamente in Jugoslavia e all'estero" (grazie al famoso passaporto rosso che apriva tutte le porte) "ora ci sono tutte queste frontiere. La guerra mi ha portato via dieci anni di vita". Lui è serbo, ma "i serbi che assediavano la città erano dei primitivi". La divisione tra serbi, musulmani e croati appare quasi comica, quando si pensa che hanno tutti lo stesso cognome, nella stessa famiglia troviamo infatti Boris Dilić, Mustafah Dilić e Tomislav Dilić.

Sarajevo

In guerra, la vera immagine di Sarajevo era la vita. [...] Nella moviola della mia mente, Sarajevo è un signore in giacca e cravatta che esce perfettamente sbarbato da un rudere che è casa sua, è il vecchio Mujo Kulenović che aggiusta il tetto della bottega, è un musulmano che in centro quasi si inchina davanti a un parroco cattolico. Sarajevo è una pentola che non ha mai toccato carne di maiale e che nelle case ortodosse e cattoliche è sempre pronta per gli ospiti di religione islamica; è Kanita Fočaka che a trecento metri dalle linee serbe apre una scuola di buone maniere; è una fila di bambini disciplinati che vanno, in mezzo alla guerra, a imparare il bon ton.
(Paolo Rumiz, "Maschere per un massacro")

Arriviamo a Sarajevo lunedì sera e dall'alto delle colline il panorama della città illuminata è mozzafiato. Il tassista ci dice che dopo la guerra Sarajevo è diventata una città musulmana e quella sera gli islamici festeggiano una ricorrenza negli ultimi giorni del Ramadan. Quando scendiamo nella Baščaršija, l'antico bazar turco, le strade, addobbate di luci come per Natale, sono piene di gente. Tutti si riuniscono nei cortili delle moschee, stendono i tappeti e si preparano alla preghiera della sera. Le donne musulmane, truccatissime e profumatissime, si coprono al volo con il velo prima di entrare nella moschea e prendono posto tutte da un lato. La citta risuona dei canti dei muezzin e l'atmosfera è suggestiva.

Moschea di Sarajevo

Il giorno successivo, dopo una passeggiata per le vie del centro, decidiamo di visitare il "museo del tunnel". Il tunnel di Sarajevo, alla periferia della città, era stato costruito sotto l'aeroporto controllato dalle Nazioni Unite, per raggiungere il territorio bosniaco controllato dall'esercito musulmano. Da qui donne e bambini si incamminavano a piedi sul monte Igman, scortati dai militari bosniaci. Succedeva spesso però che chi riusciva a lasciare Sarajevo, dopo cinque o sei mesi volesse ritornare nella città assediata, per un sentimento di attaccamento alla propria città.
Al museo del tunnel incontriamo Amela, una bosniaca che parla benissimo spagnolo. Nel 1992 era andata un fine settimana in Macedonia a trovare il padre, e non erano potuti rientrare. Il loro volo charter per la Spagna fu uno dei primi voli umanitari. Da quando aveva dieci anni ha vissuto a Madrid. Ora è tornata e fa la guida turistica e ci racconta in spagnolo dei monumenti e della storia della sua città.

Quando è cominciata la guerra, la gente di Sarajevo non ci credeva: vedeva i carri armati che si appostavano sulle colline, ma gli dicevano che era un'esercitazione dell'esercito e di non preoccuparsi. Resosi conto del pericolo, pensarono di poter fermare la guerra con una manifestazione e qui ci fu la prima vittima, una studentessa di medicina che era venuta a studiare da Dubrovnik. La volontà di continuare a vivere è testimoniata dai tanti cinema, teatri e discoteche che rimasero aperte o aprirono durante l'assedio. L'ottimo ristorante To be or not to be cambiò il nome in To be or to be, perché il dubbio amletico doveva risolversi in quel contesto con una scelta di vita.

Biblioteca di SarajevoLa famosa biblioteca di Sarajevo, quella che bruciò in una notte di cupe vampe nella primavera del 1992, mentre la gente cercava di salvare i libri dalle fiamme, è stata costruita sotto gli austriaci ma in stile pseudomoresco. L'architetto che la progettò aveva viaggiato in Spagna ed era rimasto affascinato dall'Alhambra, ma adottando questo stile l'impero voleva anche dimostrare la sua tolleranza verso l'Islam in una città dove gran parte della popolazione era musulmana. Di fronte alla biblioteca, sull'altra riva del fiume, c'è la Inat Kuća, la casa del capriccio, che oggi ospita un ristorante. Si chiama così perché dove ora sorge la biblioteca si trovava prima la casa di un mercante turco. Quando gli chiesero di vendere il terreno per costruire la biblioteca, si rifiutò, anche se gli avevano offerto una borsa d'oro. Alla fine pose come condizione che gli costruissero una casa identica sull'altra riva.

Sarajevo è una città in cui la Storia è passata prepotentemente; sul Ponte Latino il 28 giugno 1914 il serbo bosniaco Gavrilo Princip esplose i due colpi di pistola che uccisero l'arciduca Francesco Ferdinando e la contessa Sophie dando il pretesto per lo scoppio della prima guerra mondiale. Certo, l'amico Franz Ferdinand poteva anche pensarci due volte prima di andare a Sarajevo proprio quel giorno: quella data è infatti ricorrente nella storia serba, a partire dal 1389, anno in cui l'esercito serbo combatté contro i turchi nella Piana dei Merli (Kosovo Polje). Il risultato fu catastrofico per la Serbia, che fu da allora soggiogata per secoli dall'impero ottomano, ma tuttora i serbi sostengono di avere vinto, o almeno pareggiato, e il sentimento nazionale serbo è costruito in gran parte attorno a questo evento. I muri di Belgrado sono pieni di manifesti che proclamano Kosovo je Srbija (Il Kosovo è Serbia) e publicizzano il sito nazionalista www.1389.org.yu.
In Jugoslavia Princip era considerato un eroe nazionale, e le sue impronte erano segnate sul ponte che allora portava il suo nome. Dopo la guerra, Princip venne dichiarato un terrorista e il ponte riprese il suo antico nome. Eroi nazionali e terroristi sono più o meno la stessa cosa vista da prospettive diverse. Heroj a ne zločinac ("Eroe, non criminale"), come c'è scritto sui muri in Croazia a proposito di Gotovina.

Mostar

"Era il simbolo, e non il manufatto che si voleva colpire. La pietra non interessava ai generali croati. Il ponte, difatti, non aveva alcun valore strategico. Non serviva a portare uomini e armi in prima linea.
Esisteva, semplicemente. Era il luogo della nostalgia, il segno dell'appartenenza e dell'alleanza tra due mondi che si volevano a tutti costi separare."
(Paolo Rumiz)

ponte di MostarA Mostar ci si sente già un po' in Croazia. E non nel senso buono del termine. A Belgrado in ottobre i turisti sono una rarità, a Mostar sono i bosniaci ad essere un'eccezione. Tedeschi e giapponesi invadono il famoso ponte ricostruito, forse senza sapere chi durante la guerra l'ha distrutto. A Sarajevo una targa ricorda che la biblioteca fu incendiata da "criminali serbi", a Mostar non c'è scritto che dei criminali croati hanno distrutto il ponte, solo una targa proclama "don't forget Mostar 1993", ma sembra che le responsabilità siano dimenticate. Ci sembra quasi che Mostar sia stata ricostruita per i turisti tedeschi, a cui offrire un piccolo ponte di Rialto a due passi dalle spiagge croate, per questo un po' ci delude e continuiamo il viaggio verso la vera Croazia.

Dubrovnik

Dal punto di vista artistico e architettonico la "perla dell'Adriatico" batte sicuramente tutte le altre città viste in questo viaggio. I palazzi in stile veneziano, che si riflettono sulle strade lastricate, sono sicuramente bellissimi. Ma, arrivando da lidi poco battuti dal turismo di massa, ritrovandosi a camminare in mezzo a centinaia turisti americani, s'insinua la nostalgia delle strade di Belgrado dove si sentiva parlare solo serbo.

Dubrovnik

La Croazia ci accoglie con strade dedicate al cardinale Stepinac e ponti dedicati al dott. Franjo Tudjman (ma dottore de che?) mentre in Serbia non si trovano per fortuna strade dedicate a Milošević, e se vedete una strada intitolata a Karadžić potete stare sicuri che si tratta dell'innocuo linguista Vuk e non del criminale di guerra Radovan. L'attacco dell'esercito serbo-montenegrino è documentato nei particolari in un museo dove non si manca di presentare tutte le foto dei caduti durante la guerra e trofei patriottici come la bandiera croata che sventolava sulla torre al momento del bombardamento. I serbi sono demonizzati, e i croati che hanno combattuto nella "guerra patriottica" sono celebrati come eroi, anche nel caso di criminali come Gotovina. Si avverte insomma un nazionalismo esasperato, totalmente assente in Bosnia (per esempio il museo del tunnel di Sarajevo non è assolutamente retorico o nazionalista), dove la guerra è stata sicuramente più lunga ed efferata. Come sempre sono le persone comuni, come i signori che ci affittano la camera, a farci ritrovare quell'ospitalità e cordialità che, a dispetto di ogni confine, è ancora una delle peculiarità balcaniche.

Mentre in Serbia e Bosnia si percepisce ancora nostalgia per la Jugoslavia, in Croazia questa parte di storia sembra completamente cancellata. La ragione va cercata in quello che è venuto dopo. Bosniaci e serbi stanno sicuramente peggio, dopo guerre, embargo, bombardamenti della NATO, profughi, nuove frontiere. La Croazia invece, grazie al boom turistico, è diventata molto più ricca e non ha nessuna ragione di rimpiangere i vecchi tempi.

Novi Sad

Ritornando sui nostri passi, decidiamo di ripartire da Sarajevo per tornare in Serbia. Dopo un viaggio lunghissimo, giungiamo a Novi Sad. Il paesaggio montagnoso della Bosnia fa spazio alla pianura della Vojvodina. Arriviamo tardi senza avere prenotato (chi dovrebbe mai venire a Novi Sad in ottobre?) e troviamo per fortuna due ragazze (Marina e Maja) che, quando chiediamo una semplice informazione su un autobus, girano la città insieme a noi aiutandoci a trovare un posto dove passare la notte. Quando le chiediamo perché fanno questo, sprecando la loro serata per noi, Marina ci risponde: "Perché se fossi in Italia nella vostra situazione, mi piacerebbe che qualcuno mi aiutasse a trovare dove dormire.".

Anche a Novi Sad sono evidenti le tracce della dominazione austrungarica. Sembra di essere in una piccola Vienna, ma ricca di culture diverse. La cattedrale cattolica in stile gotico è a due passi da quella ortodossa, raccolta e ricca di icone. La fortezza di Petrovaradin, sull'altra sponda del Danubio, era una fortezza austriaca. Ma a costruire le fortezze i turchi erano molto più bravi.

Novi Sad

Parco nazionale di Đerdap

La geografia, per un occidentale sprovveduto, si fa sempre più vaga. Felix Hartlaub [...] osservava - quando era stato mandato in quella "giungla sudorientale" - che dopo Belgrado incominciava, nella sua mente, una nebbia confusa che gli rendeva vaghe e imprecise quelle terre balcaniche in cui si trovava, e si chiedeva dov'era. E anch'io, aspettando l'autobus a Kladovo, mi domando dove sono.
(Claudio Magris, Danubio)

Non siamo riusciti ad arrivare a Kladovo, dove il Danubio si restringe in una gola strettissima, al limite orientale del parco nazionale delle Porte di Ferro. Le cinque ore di autobus da Belgrado a Kladovo, dopo altre due ore da Novi Sad a Belgrado, ci hanno spaventato, e abbiamo deciso di fermarci a Golubac, all'inizio dei cento chilometri di parco nazionale. Così, invece che nel punto più stretto, ci ritroviamo dove il fiume raggiunge la massima ampiezza. Ma anche noi, come Claudio Magris, ci domandiamo spesso dove siamo e impieghiamo due giorni a capire che l'altra sponda del fiume è già Romania.

A Golubac non c'è l'imbarazzo della scelta per quanto riguarda l'alloggio. C'è un solo albergo, in riva al Danubio che in quel punto sembra quasi un lago. Questo a causa alla diga costruita tra gli anni '60 e '70 e che ha modificato il paesaggio sommergendo interi paesi che sono stati spostati più in alto. Il giorno dopo visitiamo il paesino successivo, Donji Milanovac, dove facciamo una bella passeggiata tra la campagna serba con un bellissimo panorama sulle gole del Danubio. Noi, gli unici due turisti in una domenica d'ottobre, siamo guardati quasi con sospetto ma basta presentarsi con un Dobar dan che la gente diventa gentile e cordiale, abbozzando sorrisi e mostrando voglia di parlare.

rocca di Golubac

La rocca romano-turca di Golubac è sicuramente in una posizione suggestiva, ma questi siti archeologici hanno in Serbia la stessa importanza dei numerosi cani randagi, lasciati lì senza cura, senza neanche pensare che un giorno potrebbe arrivare un turista. E questo nonostante gli sforzi di Tatjana. Chi è Tatjana? È la gentilissima impiegata tuttofare dell'agenzia turistica di Golubac. Il suo ufficio non è facilmente raggiungibile con le indicazioni della guida, però basta chiedere alla prima signora che passa e una staffetta di intermediari ci porta a destinazione. La gentilissima signora ci accompagna in comune dove alle dieci del mattino la preoccupazione principale è dispensare la colazione a tutti gli impiegati. Siamo lasciati in compagnia di un altro simpatico signore, che ci elenca per nome la lunga serie di amici italiani che ha conosciuto in vita sua: Gianni, Bruno, Andrea... poi finalmente arriva Tatjana. Capelli biondi lunghi al vento, con colpi di sole viola, ci porta immediatamente nel suo piccolo ufficio dove accende il computer e fa partire (per farci piacere) della musica italiana. Con orrore scopriamo che si tratta dell'ultimo album di Eros Ramazzotti. Poi, per farci vedere tutti gli angoli del parco naturale, ci mostra le foto che lei stessa ha scattato al marito e ai figli in ogni paesino da Golubac a Kladovo. Ci lascia andare carichi di cartoline, poster, depliant e con una gran voglia di ascoltare un po' di folk serbo.

In partenza

Siamo arrivati al penultimo giorno di vacanza e ci prepariamo a ritornare a Belgrado, da dove un aereo ci riporterà a Ginevra. Manca solo l'ultimo tragitto in pullman, ma non è particolarmente lungo e sarà sicuramente rilassante. O almeno così parrebbe, se non che anche questo autista scopre che siamo italiani e ci vuole fare un regalo. Ed ecco così, per la seconda volta nello stesso giorno, risuonare le note della nuova canzone di Eros. Il Maso inizia a scalpitare e la Monia a ridere senza pietà. Alla fine della canzone... orrore... ne comincia un'altra! E un'altra ancora, si tratta dell'intero cd di Eros Ramazzotti! Con le parole "Datemi la Pausini!", segno evidente di una mente sull'orlo del delirio, arriviamo finalmente a Belgrado, liberi dalle rime costruite con i verbi al futuro.

A Belgrado cerchiamo di tirare le fila del viaggio... impressioni? ricordi? emozioni? Per ora a malapena si distinguono volti, storie, colori e forme... la valle della Vojvodina e i colori autunnali della montagnosa Bosnia, le gole della Drina e della Neretva e le isole dalmate, la Serbia rurale lungo il Danubio... I sorrisi dei contadini serbi, la cordialità degli albergatori croati, l'atmosfera mozziafiato che si respira a Sarajevo.

Il diario è frutto di una collaborazione Monia-Maso. Se volete, qui trovate una galleria con le foto della vacanza.

16 settembre 2007

Powers & Supplies: 5. Fuochi nella notte di San Giovanni

"Che uomini sono mai i poeti, che riescono a parlare di Giove pensandolo simile ad un uomo, ma se è un'immensa sfera di metano e ammoniaca ammutoliscono?"
(Richard Feynman, The Feynman lectures on physics, Addison-Wesley, 1964)

"Dunque: è la prima volta da più di cinquecento anni che un poliziotto o militare svizzero spara un colpo al di fuori del territorio nazionale e mi vuoi far credere che sia successo per questa tua nuova maledetta passione per l'occultismo?".
Il commissario Philippe Montalbin era comprensibilmente infuriato. Possibile che un uomo fidato come Varrin si fosse comportato così da stupido?
"Lo sai che la signora Calmy-Rey ha dovuto telefonare DI PERSONA dico DI PERSONA a monsieur Sarkozy per chiarire che si è trattato di un incidente e che i carri armati svizzeri NON travereseranno la frontiera di Bardonnex domani all'alba? Vogliamo che l'immagine nel mondo della polizia svizzera sia quella che ne davano Aldo, Giovanni e Giacomo? Ti ricordo, se te lo fossi dimenticato, che non ti chiami Hüber! "
"Comunque... commissario... anche se i francesi usano l'atomica noi abbiamo i bunker!"
"Hai voglia ancora di scherzare, Varrin?"
"Commissario, in quel momento non ero un semplice poliziotto: dopo una vita intera vissuta come sbirro di frontiera in un paese neutrale... anni persi ad aspettare qualcosa, qualcuno, la sorte o, perché no, la morte... è stato come se per un attimo avessi avuto in mano il destino dell'intera umanità!"
"Invece avevi in mano il destino della gamba del signor De Gennaro... qualche centimetro più in là e poteva... rimanere offeso... come recita la famosa parodia della gloriosa polizia elvetica! Via, per favore, facciamo entrare i testimoni."

Uno dopo l'altro fecero il loro ingresso nell'ufficio il professor Garrigs, Konrad Reinhard (l'ipotetico nazista) e Giovanni Nepero.
"Secondo me", cominciò quest'ultimo senza peraltro essere interrogato, "si configura un tipico problema di safety. Bisogna distinguere tra risk e hazard. In gergo tecnico si chiama hazard l'apparato o la situazione che comporta un rischio mentre risk è il possibile effetto che mette a repentaglio la sicurezza. In questo caso l'hazard consisteva nel dare una pistola in mano all'ispettore ed il risk, come abbiamo potuto constatare, è che qualcuno che passava di là venisse colpito da un proiettile vagante... Eliminando l'hazard scomparirebbe anche il risk quindi..."
"Basta con questi discorsi inutili!", lo interruppe il commissario, "Sentiamo piuttosto cos'ha da dire il signor Reinhard"
"Ecco", fece Varrin cercando di recuperare l'impostazione da poliziotto professionista, "ci dica signor Reinhard, perché mai stava parlando di crociate ad un concerto delle Cernettes? Deve ammettere che la circostanza è alquanto sospetta."
"Di crociate?"
"Non cominciamo a negare l'evidenza. Quella sera stava dicendo qualcosa a proposito di crociate e navi che si recavano in Terrasanta!"
"Ah... ma certo... stavo parlando di The Crusades"
"Crede di confonderci dicendolo in inglese? Sempre delle crociate si tratta!"
"No, The Crusades è un gioco da tavola, un board game. Qualcuno li trova noiosi e li chiama bored games... non male il gioco di parole, no? invece devo ammettere che mi ha appassionato abbastanza. Sa, nel nostro gruppo ogni tanto ci troviamo la sera e giochiamo a questi giochi di società..."
"Lo vedi Varrin", disse il commissario, "la soluzione all'enigma era molto semplice"
"Ispettore, devo dare ragione al commissario", intervenne il professor Garrigs, "per quanto cercare ipotesi ardite abbia sempre un suo fascino, una seria ricerca scientifica ma anche una seria ipotesi investigativa dovrebbe rifarsi al rasoio di Occam. Ha mai sentito parlare del rasoio di Occam, ispettore?"
"No, mi sono sempre trovato bene con Gilette..."
"...ecco... in realtà si tratterebbe di un rasoio di tipo diverso. Si tratta di un principio formulato nel quattordicesimo secolo dal filosofo William of Ockham che recita: Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem"
"Chiaro."
"...che potremmo tradure come non si debbono aggiungere elementi quando non sia assolutamente necessario. Tra le varie spiegazioni di un evento, la più semplice è quella che ha maggior possibilità di essere vera."
"No, professore. Non ci siamo proprio. Questo rasoio del suo amico Guillaume è proprio l'ultima cosa di cui ho bisogno... Per risolvere questo caso altro che rasoio... devo moltiplicare e moltiplicare le ipotesi, e la più complicata sarà quella che ha più possibilità di essere vera! Non lo capisce che lo scenario in cui si è svolto il delitto è a tutti gli effetti un paradiso dell'occultismo?"
"Dell'occultismo? Ma come? Il tempio della scienza moderna, il laboratorio della Pura Ricerca Scientifica e Razionale, regno di matematica e ingegneria, teoria ed empirismo lei me lo vuole accomunare ai maghi che vendono gli elisir di lunga vita sulle televisioni locali?"
"Non c'entra niente, dice? Immaginazione, professore, immaginazione! Che cosa avviene nelle vostre macchine atomiche nei vostri sincrotroni adronici o come si chiamano? La materia si spappola, ci metti camembert e viene fuori quark, buchi neri, bosoni di higgs centrifugati o che so io. Voi siete gli alchimisti del futuro: non vi limitate a trasformare il piombo in oro, volgare manipolazione puramente subatomica, togli qualche protone e qualche neutrone ed è fatta, ma lavorate su scala subnucleare arrivando alle particelle indivisibili, il limite estremo e divino della materia, quell'Uno che non può essere diviso e che, come ci insegna Parmenide, è in definitiva Dio. Per esempio, perché il capello di una bella ragazza a cui abbiamo carezzato a lungo la chioma in una notte di passione, quando il mattino dopo lo troviamo nel lavandino ci fa schifo?"
"Perché manca tutto il resto?"
"Esatto, perché non fa più parte dell'Uno. Questo concetto filosofico che tutti noi intuiamo finanche nella vita quotidiana, è quello che voi state portando alle estreme conseguenze. Qui c'è in palio qualcosa molto più importante di un semplice e terreno premio Nobel..."
"...buttalo via...", disse Giovanni, senza sapersi trattenere.
"c'è in gioco una conoscenza più grande, quella a cui aspiravano anche gli alchimisti. La trasformazione del piombo in oro non è che una pallida metafora per la trasmutazione del corruttibile nell'immutabile, nell'Assoluto, la Verità per la quale qualcuno è disposto ad uccidere non una ma cento, mille volte. Per questo temo che questo delitto sia solo il primo di una lunga serie!"
"Ispettore, mi perdoni,", non si seppe trattenere il professor Garrigs, "ma le sue sono tutte illazioni senza fondamento. Non ha uno straccio di prova!"
"Glielo concedo, ma ho una quantità impressionante di indizi: mi è bastato pubblicare su una decina di riviste specializzate in esoterismo un semplice annuncio e ho ricevuto un'incredibile quantità di materiale: centinaia di persone che sostengono che il nuovo acceleratore produrrà dei piccoli buchi neri che invece di evaporare risucchieranno il pianeta, un naturalista e pilota di zodiac canadese che sostiene che la teoria della relatività è una bufala perché contraddice il senso comune, il conte di Saint Germain che ovviamente non è mai morto e mi ha intimato di non immischiarmi con i progetti della sinarchia sui destini del mondo..."
"...e ne ha concluso che?"
"Visto che insistete vi farò un rapido riassunto della mia ricerca. Il vostro laboratorio per la fisica delle particelle racchiude una quantità impressionante di simboli esoterici. Cominciamo dai fatti inoppugnabili: sotto i nostri piedi si trova un anello sotterraneo di circa 27 chilometri di circonferenza e 9 chilometri di diametro, in cui sotto l'effetto di campi elettrici e magnetici saranno accelerati due fasci di protoni ciascuno all'energia di 7 TeV. Non voglio dilungarmi sui paralleli con l'esistenza di tunnel sotteranei segreti in tutte le città europee, particolarmente a Parigi e a Torino, per non parlare del film Underground. Soffermiamoci invece sul significato questi numeri."
"Soffermiamoci."
"Cominciamo dal 27. Ventisette è un numero magico perché è uguale a tre alla terza. Tre è il numero del divino per eccellenza: padre, figlio e spirito santo, Brahma, Shiva e Visnu, le tre città sante dell'Islam, Mecca, Medina e Gerusalemme, i tre padri dell'ebraismo Abramo, Isacco e Giacobbe, i tre libri sacri dell'Antico Testamento, Torah, Nevlìm e Ketuvìm.."
"...sì vabbé, con questo ragionamento ci aggiungiamo tutti i trii, i tre moschettieri, i tre porcellini, i tre..."
"Non bestemmi, professore. Dunque il Ventisette è la potenza del divino, il divino elevato al divino, e scusi se e poco. Bisogna poi considerare che la somma interna di 27 è 9, come 9 è approssimativamente il diametro dell'acceleratore. Ebbene il numero Nove rappresenta il regno di Dio, tutto ciò che ruota intorno alla Divinità. E cosa state facendo voi se non far ruotare intorno i vostri protoni? Inoltre se facciamo il rapporto tra la circonferenza e il diametro dell'acceleratore otteniamo il pi greco, il numero sacro, irrazionale e divino."
"Varrin, per favore,", sbottò il commissario, "questo è vero per tutte le circonferenze del mondo!"
"almeno nella geometria euclidea", precisò il professore.
"Ma appunto! È questo il prodigio, questa universalità divina! Passiamo ora ai 7 teraelettronvolt. Anche questo è un numero magico per eccellenza. Sette sono i bracci del Candelabro ebraico, perché sette rappresenta la Creazione, i giorni della Genesi. Ebbene cosa cercherete di fare voi proprio a 7 TeV? Cercherete di CREARE nuove particelle. E lei mi vuol far credere che questo è un caso, professore?"
"Sono sicuro che se i TeV erano 5 lei mi trovava un altro significato occulto."
"E allora? Comunque sono 7, non cambiamo le carte in tavola. Passiamo ora ad analizzare la struttura dell'acceleratore."
Detto questo, posò sulla scrivania una mappa del territorio dove sorge il tunnel.

. Mappa di LHC

"Dunque come vedete nella figura lungo il tracciato dell'acceleratore ci sono 8 punti d'accesso così numerati: P1, P2... spero che non vi sfugga il significato di P2..."
"Effettivamente mi sfugge.", confessò il commissario.
"P2 o Propaganda 2 era una loggia massonica che operò in Italia per decenni, influenzando pesantemente le scelte politiche, una sorta di governo ombra, quindi la possiamo assimilare alla sinarchia mondiale, il governo occulto, nel cui piano l'acceleratore svolge senza dubbio un ruolo importante. In quattro di questi punti di accesso si trovano quattro esperimenti: Atlas a Point 1, Alice a Point 2, CMS a Point 5 e LHCb a Point 8, proprio accanto a Leclerc dove vado a fare la spesa per risparmiare rispetto ai prezzi svizzeri. Ora uno si potrebbe chiedere perché visto che costruire un esperimento del genere costa così tanto si sia deciso di farne addirittura quattro"
"Ispettore, è chiaro, perché se dobbiamo fare la scoperta del secolo vogliamo esserne sicuri. Non è che possiamo dire, toh guarda abbiamo trovato l'Higgs, e poi magari tutto era viziato da un errore concettuale. Questo per quanto riguarda i due esperimenti più grandi, CMS ed ATLAS che proveranno a cercare la stessa cosa ma con metodi molto diversi, mentre per quanto riguarda ALICE e LHCb, beh in quel caso si tratta di esplorare un altro tipo di fisica..."
"Ok, questa come al solito è la versione ufficiale. In realtà il numero degli esperimenti è stato scelto per il significato del 4. Il numero quattro rappresenta il mondo fisico, la materia, la dicotomia tra mondo fisico e mondo spirituale. Signori, questo è un indizio così chiaro che mi pare impossibile che nessuno ci abbia pensato prima di me. Con questo numero il Re del Mondo ci vuole dire che anche se si finge di parlare di fisica, in realtà l'obiettivo è puramente SPIRITUALE."
"come testimonia la statua di Shiva accanto al building 40", azzardò Giovanni.
"bravissimo, com'è che non ci avevo pensato? Per finire una rapida scorsa ai nomi degli esperimenti. Cominciamo con Atlas, cioè Atlante, che è il titano condannato a sorreggere il mondo perché alleato di Cronos, il Tempo, nella rivolta contro gli Dei dell'Olimpo. Ma soprattutto a cosa dà il nome Atlante?"
"Ai libri con le carte geografiche?"
"Ma no! Ad Atlantide, l'isola ingoiata dal mare, che simboleggia più che ovviamente una perfezione felice che un tempo apparteneva al genere umano, l'età dell'Oro, in definitiva ciò che potrebbe essere il mondo se la Verità che state cercando venisse usata a fin di bene, e non da dei pazzi assassini, come temo stia per succedere. Continuiamo con Alice. Se vi dico Alice cosa pensate?"
"Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole", propose Giovanni.
"No, non ci trovo nessun significato occulto, io penserei piuttosto ad Alice nel paese delle meraviglie ed anche in questo caso si vuole alludere ad un altro mondo diverso da quello reale. Solo guardando attraverso lo specchio possiamo capire la verità."
"E cosa mi dice di CMS? Qua la voglio!". Il professor Garrigs era particolarmente divertito.
"In questo caso la questione si fa più complicata."
"Lo dice il nome stesso: see a mess, guarda che casino!"
"Però ci sono riuscito. Il metodo che ho utilizzato è ovviamente quello delle armoniche dell'alfabeto. Ogni lettera dell'alfabeto ha, secondo i numerologi, un suo particolare carattere, che può essere meglio descritto associandola ad un valore numerico. Dunque, C è l'equivalente di 3, ancora ritorna il numero divino, e rappresenta l'energia. La famosa energia di 7 TeV, ricordate? M è l'equivalente numerico di 4, come i quattro esperimenti, e rappresenta la spiritualità. Questa lettera tende ad essere molto sicura di sé e aiuta nella realizzazione di un obiettivo di successo, come appunto la costruzione di un acceleratore. S è l'equivalente di 1 e rappresenta l'inizio. Ha degli attributi molto attraenti e possiede un istinto di abbondanza o di ricchezza. Negativamente, S può agire in modo impulsivo e crea forti sconvolgimenti nelle persone. Dunque come possiamo interpretare la sigla CMS? Evidentemente ancora una volta il messaggio è coerente: l'energia divina dell'acceleratore è un affare molto più spirituale che fisico. Chi scoprirà questa verità avrà per sé una ricchezza infinita, tuttavia se utilizzata male questa energia può portare a grandi sconvolgimenti, morte e distruzione."
"Va bene, ispettore, ci risparmi l'interpretazione esoterica di LHCb che ne abbiamo avuto abbastanza.", rispose il professor Garrigs, "mi sembra però che lei stia perdendo di vista il fatto che sta lavorando su un assassinio. In tutta la sua teoria questo omicidio neanche viene preso in considerazione, quasi fosse un particolare insignificante..."
"...ma ci stavo appunto arrivando... Anche le circostanze dell'omicidio nascondono un significato preciso. In che giorno è avvenuto il delitto?"
"La notte tra il 23 e il 24 giugno", rispose Giovanni, "me lo ricordo perché era il mio onomastico ed avevo pensato anche di tornare a Firenze per vedere i fochi di San Giovanni, poi ho pensato che tanto si guardano e si dice l'eran meglio quegl'altr'anni... "
"Ecco, appunto, lo sai perché in molte città si festeggia San Giovanni con i fuochi?"
"Perché è il santo patrono e poi Giovanni è un nome importante e..."
"Ma per favore! San Giovanni è stato aggiunto dopo, per cristianizzare un rito molto più antico. Come il Natale, che è stato inventato per assorbire nella nuova religione l'antica festa del Solstizio d'Inverno. Il 24 giugno si celebra in realtà il momento in cui il sole è al sommo del proprio cammino. Immagina nella notte di San Giovanni una festa di misere tribù che accendevano in tutta Europa migliaia e migliaia di fuochi. Chiaramente il rito è ormai scomparso rimangono oggi solo echi lontani ormai spogliati del vero significato, ma immagina un lontano passato quando non esistevano le città, niente illuminazione artificiale, il buio era assoluto e al tramonto il cielo della sera arrossava sospeso tra azzurri spazi gelidi e lande desolate. Alla luce dei fuochi si riunivano dei nuclei solitari, che è raro di vedere insieme ancora, non tacevano i canti e la danza rituale festeggiava l'arrivo dell'estate."
"Affascinante..."
"Quel giorno, inoltre, il Sole, simbolo del fuoco, entra nel segno del Cancro, segno d'acqua dominato dalla Luna. È quindi il giorno in cui il maschile e il femminile si uniscono ed è consuetudine trarre presagi. Sono arrivato a pensare che l'omicidio possa essere una specie di rito propiziatorio, sicuramente quella notte nel capannone del CERN si era svolto un rituale di qualche tipo, si era festeggiata l'ineluttabilità del Piano per la conquista del mondo. Così vannno le cose. Così devono andare."

(5 - continua...)

28 agosto 2007

Powers & Supplies: 4. Laurent Varrin e l'Ultima Crociata

"L'archeologia si dedica alla ricerca dei fatti. Non della verità.
Se vi interessa la verità, l'aula di filosofia del professor Tyre è in fondo al corridoio."
(Henry Jones)

"E mentenan... le redòtscilìpepèr", annunciava il dee-jay dalle casse dell'auto dell'ispettor Varrin. Aveva sintonizzato la radio su Europe 2 ("que du rock, que d'la pop") per entrare nello spirito adattto al grande evento che stava per raggiungere : l'hardronic festival, un concerto organizzato dal music club del CERN. Gli avevano anche spiegato perché il nome era particolarmente divertente: si trattava di un gioco di parole tra hard, come in hard rock, e hadronic, cioè adronico. Gli adroni sono una famiglia di particelle subatomiche, precisamente quelle sentono la forza nucleare forte tipo i protoni o i neutroni, ma anche i mesoni, mai dimenticarsi dei mesoni.

Aveva imparato i nomi di queste particelle in un libro di Martinus Veltman. Pur non capendo niente della fisica, questi nomi esercitavano su di lui un fascino particolare, più per il suono che per la loro essenza: adroni, barioni, nucleoni, leptoni, gluoni, gravitoni, bosoni, fotoni, iperoni, fermioni, barioni esotici... si divertiva a inventare i nomi di nuove particelle come i fattoni, i mormoni, i gettoni, gli svarioni...
La cosa più divertente, comunque, era il nome del campo da softball dove si svolgeva il festival: l'Higgs field. L'ispettore era sempre più convinto di essere capitato in una gabbia di matti con un senso dell'umorismo incomprensibile alle persone comuni.

L'evento dell'anno era il ritorno all'attività live di un famoso gruppo femminile, Les Horribles Cernettes, che cantava canzoni con testi incentrati sulla fisica delle particelle e melodie tipicamente anni '60. Qualcuno si era degnato anche di spiegargli perché il nome del gruppo faceva ridere: l'acronimo LHC (un TLA, si noti bene!) era lo stesso del nuovo acceleratore (il Large Hadron Collider). L'ispettore aveva sorriso per cortesia.

Girò a destra ad una rotonda e raggiunse il sito di Prevessin, in piena campagna francese. Per mimetizzarsi nell'ambiente aveva abbandonato giacca e cravatta, optando per una tenuta estiva con pantaloncini al ginocchio, maglietta di colori sgargianti, sandali e... calzini. Nonostante fosse luglio, un cielo nero annunciava un prossimo temporale, che avrebbe potuto trasformare il festival in una Woodstock senza Jimi Hendrix. Guardando preoccupato il cielo, Varrin raggiunse il palco dove un primo gruppo stava già suonando.

Hardronic Festival

Scorse Giovanni, lo studente della safety commision che aveva scoperto il cadavere. Stava chiacchierando con un tizio che aveva tutta l'aria di essere tedesco. L'ispettore si avvicinò senza essere notato, il nuovo look lo rendeva praticamente irriconoscibile.

"Yes, sure. I know many Italian songs. Italian music is very good for parties. Tizzianno Ferro, for example."
"Tiziano Ferro. Noooo... but that is terrible italian music"
"No, no... it is very good, because you Italian people, you go to Rimini and drive your big cars with this music for parties... FELICITÀ lallalallalla lallallallalla la FELICITÀ... and all the very beautiful italian girls come with you to the beach."
"Sie... ven via Konrad... Al Bano e Romina? che tu mi racconti!?! con quella... al massimo... tu rimorchi le nonne!"
"What did you say? What do you mean?"
"I just said that this is not the music for young people in Italy..."
"No? really? Das ist unglaublich! Unglaublich, unglaublich!"


Unglaublich. Quella parola dal suono così sinistro spaventò l'ispettore. Non aveva dimenticato i robottini del gioco da tavola sparsi sulla scena del delitto: formavano la stessa, inquietante parola. Doveva tener d'occhio quel tipo.

"Buonasera, ispettore. Anche lei è un fan del gruppo più friki dell'universo?"
"Per favore, professor Garrigs, non mi faccia scoprire. Sto cercando di passare inosservato. Il gruppo più...?"
"Più friki. È un'espressione spagnola... un friki è uno appassionato della tecnologia a livelli maniacali, che fa battute che si possono capire solo conoscendo i comandi UNIX, tipo cd pub/ more beer, ha le magliette con le equazioni di Maxwell, sa a memoria le canzoncine degli anime in giapponese senza sapere una parola di giapponese..."
"Immagino che qui la percentuale di friki sia insolitamente alta..."
"Certo. Vede questa folla? Fanno finta di ballare su Because the night ma in realtà stanno aspettando tutti le hit delle cernettes, tipo You quark me up..."
"Professore, mi dovrebbe aiutare a trovare il significato di una parola misteriosa che probabilmente deve essere interpretata misticamente utilizzando un riferimento biblico o cabalistico..."
"Non scherziamo, ispettore! Sono uno scienziato, non un rabbino!"
"Sì ma non mi dica che è uno di quei materialisti che non sono affascinati dall'occultismo e dal misticismo? La scienza ha già spiegato tutto, secondo lei?"
"Diciamo che ci stiamo lavorando."
"Oppure è uno di quelli che si accontenta delle verità ufficiali? Per esempio, dato che sto approfondendo la lettura di Dan Brown, ha mai sentito parlare del vangelo apocrifo di Filippo? Dove è scritto che la compagna del Salvatore è Maria Maddalena e che Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca? Forse anche qui al CERN, per spiegare questo delitto, dobbiamo andare al di là della verità ufficiale, e scoprire qual è il vero scopo per cui stanno costruendo questo acceleratore..."
"Guardi, se le piace tanto il genere dei Vangeli alternativi, invece di leggere i libracci di Dan Brown, le consiglio Il Vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago."
"Sara Mago? Mai sentita. Comunque non credo che le donne siano capaci di scrivere dei bei thriller. A parte Agatha Christie, naturalmente..."
Una delle Cernettes si avvicinò ai due intervenendo nella discussione
"Scusatemi, signori intelletualoidi, ma il mio vangelo alternativo preferito è Jesus Christ Superstar!", e attaccò la canzone della Maddalena,
I don't know how to love him.
What to do, how to move him.
I've been changed, yes really changed.
In these past few days, when I've seen myself,
I seem like someone else.

I don't know how to take this.
I don't see why he moves me.
He's a man. He's just a man.
And I've had so many men before,
In very many ways,
He's just one more.
"Che voce! Brava!"
"Sì il mio sogno è cantare nei musical, ma per ora mi devo accontentare di fare il balletto di Big Bang! Scusatemi, devo andare a prepararmi, tra poco tocca a noi."

"Ma da quanto tempo è che suonano queste Cernettes?"
"Dai primi anni '90, me lo ricordo bene il mio primo concerto, ispettore. Successe che le fidanzate di alcuni fisici, stanche di aspettare a casa i loro ragazzi che passavano tutte le notti nelle sale di controllo degli esperimenti di LEP, decisero di mettere in piedi un gruppo doo-wop"
"Che cos'è il LEP?"
"Il Large Electron-Positron Collider. Era l'acceleratore che c'era prima di LHC. Pensi, doveva entrare in funzione il 14 luglio del 1989 per il bicentenario della Rivoluzione Francese. La Francia aveva speso una montagna di soldi per accelerare la partenza dell'acceleratore, scusi il bisticcio, in modo che fosse pronto proprio quel giorno. E in effetti il 14 luglio tutto partì!"
"Grandioso!"
"Sì, per il tempo necessario ad accorgersi che non funzionava un accidente. Si mormora che il fascio fosse bloccato da una lattina di birra incautamente dimenticata da qualche tecnico proprio sulla traiettoria degli elettroni... e così tutto fu rimandato di qualche mese. Per quanto riguarda LHC non c'è nessun anniversario particolare da celebrare il giorno dell'inaugurazione, contiamo comunque di farcela prima del trecentenario della Rivoluzione..."
"Quindi queste ragazze iniziarono a cantare..."
"Sì, ma il colpo di genio furono i testi. Roba esilarante per i fisici ma incomprensibile a tutti gli altri. Lo vede quel signore alle tastiere che urla in italiano in direzione del mixer? È Silvano, la mente del gruppo. Un cuore da metallaro, ma è lui che scrive testi e musiche."

Les Horribles CernettesEd ecco che il concerto tanto atteso cominciò. Insieme alle prime note arrivarono anche le prime gocce di pioggia. Incuranti dell'acqua, centinaia di fisici si accalcavano vicino al palco mentre le Cernettes cantavano Collider.
You say you love me but you never beep me
You always promise but you never date me
I try to fax but it's busy, always
I try the network but you crash the gateways
You never spend your nights with me
You don't go out with other girls either
You only love your collider
Non era il momento di lasciarsi distrarre dalla musica: doveva tenere d'occhio quel Konrad, il tedesco sospetto che aveva pronunciato la parola incriminata. Eccolo, era lì sotto il palco che ballava. Ormai la pioggerellina si era trasformata in un temporale estivo in piena regola e Varrin rimpianse la scelta dell'abbigliamento casual da scienziato trasandato. Era ormai vicino a Konrad ed in una pausa riuscì ad ascoltare un frammento di conversazione.
"...poi quando hai racimolato abbastanza soldi dai contadini in Europa puoi partire per le Crociate e quindi vai... vai in Palestina, e inizia la parte più interessante perché devi muovere le navi e stare attento ai pirati e quando..."
In quel momento il gruppo ricominciò a suonare e la folla che ballava spinse lontano l'ispettore. Quando finalmente riuscì ad avvicinarsi quello che sentì lo lasciò senza fiato
"...e devi trovare il Santo Graal. Chi trova il Graal vince...".
Il Santo Graal? Un tedesco che cerca il Santo Graal? L'ispettore conosceva bene, e da fonti più ben attendibili di Indiana Jones e l'ultima crociata, la leggenda secondo cui il fine dei nazisti non sarebbe stato lo sterminio della razza ebraica, ma che quello fosse solo un mezzo per arrivare al vero Scopo: il Graal. Nella mente dell'ispettore si profilò un'ipotesi bizzarra (ma non dimentichiamo che aveva deciso di procedere secondo la legge dei grandi numeri!). Evidentemente (?) un gruppo di superstiti nazisti rifugiati in Argentina aveva deciso di continuare la ricerca dopo la morte del Grande Capo e aveva addestrato una nuova generazione di giovani SS in incognito pronte a tutto. Probabilmente aveva spedito una squadra al CERN, dove l'acceleratore avrebbe creato una specie di varco spazio-temporale per tornare indietro nel tempo. Tutti sanno che andare più veloci della luce vuol dire muoversi all'indietro nel tempo. L'ispettore, digiuno di relatività, ragionava così: se i due fasci di protoni vanno entrambi alla velocità della luce, quando si scontrano è come se andassero al doppio della velocità della luce, quindi grazie all'acceleratore i neonazisti avrebbero potuto ritornare al tempo delle crociate e, sfruttando le tecnologie moderne, conquistare Gerusalemme, uccidere i Mori, un po' di ebrei (tanto per non smentire il loro ruolo di nazisti) ed infine arrivare al luogo dove era custodito il Graal, che avrebbe donato loro la Vita Eterna e il Dominio dell'Universo.
Ma qualcuno li aveva scoperti e loro erano stati costretti a uccidere quella povera donna. Avevano lasciato la loro parola d'ordine come segnale per i camerati. Unglaublich era probabilmente un nome in codice per "ricerca del Graal".

Eccolo ancora, il pericoloso neonazista. Cosa fa? Si traveste? Vuole salire sul palco con un costume da Albert Einstein. Si mettono nei panni del nemico ebraico, per confondere le acque, questi farabutti! L'ispettore sentì su di sé il peso di una responsabilità epocale. Non si trattava di risolvere un banale caso d'omicidio, qua era in gioco il destino dell'intera umanità. Se il Santo Graal finiva nelle mani dei nazisti, le armate delle tenebre avrebbero marciato su tutta quanta la terra. Eccolo, è salito sul palco e balla travestito da Einstein. Cosa avrà in mente? devo fermarlo.

un pericoloso neonazista sul palco delle Cernettes

L'informatico Silvano De Gennaro sentì l'odore di carne bruciata. Era la sua. Scocciato, imprecò in italiano, poi smise di suonare, alzò gli occhi dalla tastiera e guardò nella direzione dalla quale era partito il colpo. Vide un energumeno in pantaloncini corti, bagnato fradicio, con in mano una pistola. Stava urlando: "Fermo, mani in alto! Polizia! So chi sei, porco nazista. Levati quella maschera!". Quel cretino di poliziotto aveva sbagliato mira e l'aveva colpito di striscio al polpaccio. Con un balzo si gettò sull'ispettore, lo disarmò, lo butto a terra e gli urlò in faccia: "Vatt a' fa nu giair 'mmezz o vurgh", che in dialetto molfettese significa "Va' a farti un giro sul porto", cioè, come si direbbe in Toscana, "levati da tre passi ch'è meglio!".

(4 - continua...)

Ancora una volta ribadisco che le somiglianze tra i personaggi del racconto e persone realmente esistenti sono quasi completamente casuali. Silvano De Gennaro, invece, esiste davvero. Se per caso finisse su questo sito (le vie di google sono infinite) mi scuso per averlo usato come personaggio (però gli ho fatto fare una bella figura) ma in quanto persona quasi famosa non avrebbe avuto senso cambiargli il nome

24 agosto 2007

Bombe Spagnole

C'è gente che viaggia e vede solo quello che gli passa davanti agli occhi. Quelli che andando in vacanza in Costa Brava alla fine degli anni '70 vedevano le discoteche, il mare, le ragazze. Ci sono altri che non si limitano al presente, ma vedono anche quello che in quegli stessi luoghi è accaduto anni ed anni prima. Come Paolo Rumiz, che riesce a ripercorrere il viaggio di Annibale a distanza di più di duemila anni.

Joe Strummer apparteneva alla seconda categoria, e durante la classica vacanza in una Spagna appena uscita da una lunga dittatura e che cercava di dimenticare gli orrori del passato piuttosto che conservarne la memoria, scrive per i suoi Clash una canzone in cui le immagini della guerra civile di quarant'anni prima sembrano riaffiorare nei luoghi segnati da battaglie di altri tempi. La canzone si intitola Spanish Bombs e viene pubblicata nel capolavoro dei Clash, London Calling, del 1979.

London Calling

Canzoni spagnole in Andalusia,
i luoghi dove si sparava nei giorni del '39
Vi prego lasciate la finestra aperta
García Lorca è morto e sepolto

I giorni del '39 sono quasi la fine della guerra civile, che si concluderà quell'anno con la vittoria dei fascisti di Francisco Franco. Federico García Lorca, il poeta andaluso aperto sostenitore della causa repubblicana, era stato fucilato tre anni prima e il suo corpo gettato in una tomba senza nome nei dintorni di Víznar e Alfacar, vicino Granada.
Fori di pallottole sui muri del cimitero
Le auto nere della Guardia Civil
Bombe spagnole sul Costa Rica
Stasera sto volando su un DC10
Ma chissà cosa c'entra il Costa Rica, che nella guerra di Spagna non ebbe nessunissimo ruolo, forse semplicemente Strummer vuole alludere alla ricchezza della costa spagnola. Intanto sta tornando a casa su un DC10 (un modello moderno, nello spazio di un verso si fa un salto di quarant'anni). Si insinua un parallelo con un altro ritorno a casa: quello degli inglesi che avevano combattuto per la Repubblica, uno su tutti George Orwell che scrisse il celebre Omaggio alla Catalogna.

Arriva il famosissimo ritornello in quella specie di spagnolo con tipico accento british, sul cui significato generazioni di fan si sono scervellati. La mia idea è che Strummer abbia messo nel ritornello le uniche parole di spagnolo che aveva imparato, che non a caso erano "te quiero" e "mi corazón"...
Bombe spagnole, yo te quiero infinito
Yo te quiero, oh mi corazon
Bombe spagnole, yo te quiero infinito
Yo te quiero, oh mi corazon

Settimane spagnole nel mio casinò-discoteca
I combattenti per la libertà morirono sulla collina
Cantavano "Bandiera rossa" e indossavano quella nera
Ma dopo morti, ci fu Mockingbird Hill
La famosa foto di Robert Capa

Mentre Joe si diverte e balla (un punk che va in discoteca?? tradimento!) pensa ai combattenti caduti per la libertà. Erano anarchici, probabilmente, visto che indossavano la bandiera nera anche se cantavano Bandiera Rossa. Ma dopo che hanno combattuto e perso la guerra cosa rimane? Mockin' Bird Hill, una canzone pop degli anni '50. Abbandonata quasi completamente ogni resistenza contro il franchismo, nel dopoguerra la Spagna si adagiava sul nuovo stile di vita consumista e superficiale. Le discoteche erano fiorite numerose negli anni '60 sulla Costa Brava, nascondendo, sotto la facciata "imbecille e vacanziera" stile Rimini, una realtà di repressione e povertà.
Una volta a casa, gli autobus bruciarono
La tomba irlandese fu bagnata di sangue
Bombe spagnole distruggono gli hotel
La rosa della mia señorita è stata troncata in boccio

Gli ex combattenti irlandesi nella guerra di Spagna (un'intera brigata internazionale era venuta a combattere dall'Irlanda) trovarono al loro ritorno una nuova guerra civile ad aspettarli: la violenza dell'esercito britannico in Irlanda del Nord e il terrorismo dell'IRA. Le bombe che distruggono gli hotel potrebbero anche essere quelle dell'ETA.
Le colline risuonano di "Free the people"
oppure sento gli echi dei giorni del '39?
Trincee piene di poeti, l'esercito di straccioni
che puntava le baionette per combattere quelli di fronte

Bombe spagnole martellano la provincia
Sto sentendo musica da un altro tempo
Bombe spagnole sulla Costa Brava
Stasera sto volando su un DC10
Sicuramente tra i volontari della quinta brigada qualcuno avrà intonato "Free the people", una famosa canzone repubblicana irlandese i cui echi quarant'anni dopo risuonano ancora tra le colline e nella mente del cantante, affascinato da un esercito di poeti in cui tanti intellettuali si arruolarono volontari.
Un esercito tragicamente sconfitto, grazie alle divisioni della sinistra e ai crimini degli stalinisti contro i compagni che avevano combattuto al loro fianco, e grazie all'appoggio determinante del governo fascista italiano che schierò 50.000 soldati in aiuto dei falangisti. Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo, scriveva nel 1965 don Lorenzo Milani.

Un grande pezzo, una brillante lezione di storia a ritmo di punk!

La traduzione è ovviamente di Riccardo Venturi, tratta (altrettanto ovviamente) dalle Canzoni contro la guerra.

16 agosto 2007

Pecore nere

L'UDC, quello svizzero, è - se possibile - peggio dell'UDC italiano di Casini & Co. Come dice il nome (Unione Democratica di Centro) una volta era un partito moderato, piccolo e fondamentalmente innocuo, come fondamentalmente innocua e noiosa è solitamente la politica svizzera. Poi è arrivato un imprenditore multimiliardario, tale Cristoph Blocher, si è messo alla testa del piccolo partito, lo ha spostato su posizioni di estrema destra, isolazioniste, razziste e xenofobe, e l'ha magicamente fatto diventare la forza politica di maggioranza a livello nazionale.

L'ultima trovata dell'UDC è una campagna (propaganda?) per sostenere una proposta di legge "popolare" per "mandare a casa i delinquenti stranieri". Niente di nuovo, in Italia abbiamo un partito che vive esclusivamente di questo tipo di propaganda razzista, di zingare che rapiscono i bambini e rumeni violentatori.
La parte interessante è l'iconografia scelta nei manifesti dell'UDC che infestano anche le strade di Ginevra: tre pecore bianche che espellono, a calci nel sedere, la pecora nera, naturalmente orribile e responsabile di tutti i mali del mondo, fuori dalla Svizzera. Il tutto ovviamente per avere "più sicurezza".

Pour plus de sécurité

Come commenta Oscar Tosato, presidente di SOS Racisme a Losanna:

Ancora una volta il messaggio è "qualcuno è diverso per il colore della pelle". Ancora una volta si dice: chi fa qualcosa di male lo fa perché nero.
Analisi anche condivisibile, ma molto parziale, perché la pecora nera simboleggia in realtà ogni persona che sia diversa, per qualunque motivo, dai canoni e dagli standard dell'UDC. Chi non è bianco, cristiano, svizzero, in buona salute, abile al lavoro, è una persona non gradita che va buttata fuori al più presto così che gli elettori dell'UDC, un gregge di pecore bianche che belano dietro al potente di turno, possano dormire sonni tranquilli.

Ma c'è una speranza: la pecora nera è anche il simbolo della resistenza, la mascotte di quelli che non si allineano alla maggioranza. Vaffanculo alla maggioranza, come diceva il Benigni, quella maggioranza che sta recitando un rosario di ambizioni meschine, di millenarie paure, di inesauribili astuzie...
è facile tornare con le tante stanche pecore bianche!
Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!

Prima di morire però, tutte le pecore nere, insieme alle altre pecore di tutti i colori, si potrebbero mettere d'accordo e tirare un gigantesco e salutare calcio in culo all'UDC!

Pour plus de diversité
Riferimenti: Il blog del giornalista Alain Hubler

22 luglio 2007

Powers & Supplies: 3. Gettando sassi nel lago

"Penso spesso alla quantità di manzo
che occorrerebbe per fare un brodo
con il lago di Ginevra."
(citato da Georges Perec)

"Questa notte mi sono documentato ed ho tantissime idee per risolvere il caso", proclamò l'ispettore entrando il giorno dopo, molto fiero di sé, nell'ufficio del professor Garrigs. Tra i due si era ormai formato un rapporto consolidato del genere Dante-Virgilio, Watson-Sherlock Holmes, Adso-Guglielmo da Baskerville, Platone-Socrate, Bob Dylan-Woody Guthrie.
"Ho finito di leggere Angels & Demons così ho capito tutto del CERN: il delitto deve essere sicuramente legato ad un furto di antimateria. Avete controllato i vostri... antidepositi... manca qualcosa?"
"Ispettore, per favore, non mi dirà che vuole condurre le indagini ispirandosi alla letteratura spazzatura!"
"Ma professore, ci sono un sacco di indizi in questa direzione. Probabilmente si tratta di una cellula di Al Qaeda che ha trafugato l'antimateria e adesso progetta di utilizzarla per un attacco terroristico. Ho notato che molti tecnici qui sono pakistani, chi ci dice che non siano infiltrati talebani che vengono a imparare le tecniche adatte a scatenare la nuova frontiera della jihad? Per esempio, cosa succederebbe se si inserisse dell'antiossigeno nei condotti dell'aria condizionata di una metropolitana di una grande città occidentale?"
"Credo che nella sua fantasiosa ricostruzione abbia tralasciato un particolare..."
"Sì, certo, la vittima! Probabilmente si è trovata al posto sbagliato al momento sbagliato durante il furto dell'antimateria e le è stata riservata questa fine atroce. Il tatuaggio sulla schiena potrebbe essere un tentativo di depistaggio, non mi stupirei se in occasione di un prossimo attentato si trovasse un libro di fisica delle particelle scritto in arabo in una macchina abbandonata!"
"No, ispettore, il particolare che ha tralasciato è che al CERN per ora siamo riusciti a produrre 9 atomi di antiidrogeno! E sa qual è l'energia che si può produrre con questi 9 atomi di antiidrogeno?"
"Abbastanza per distruggere Parigi, Londra e New York?"
"No, abbastanza per sollevare una zanzara di due micron."
"Accidenti. E che se ne fa Al Qaeda della zanzara sollevata di due micron?"
"Assolutamente nulla. Ecco perché la sua teoria non sta in piedi!"
"Ho capito" - rispose evidentemente contrariato l'ispettore - "comunque non è che mi porterebbe a vedere questi atomi di antiidrogeno?"
"Sono atomi, ispettore, non si vedono ad occhio nudo..."
"E come fate a sapere che ci sono?"
"Semplice, si mette l'antiidrogeno a contatto con l’idrogeno! Poi si vedono fotoni o pioni prodotti nell’annichilazione."
"E questi pioni sono più grandi?"
"Lasciamo stare, andiamo piuttosto a visitare il tracker!"

CMS Tracker

Fu allora che l'ispettore vide il Tracciatore.
Il cilindro, fissato alle estremità su un'impalcatura metallica, era formato da una serie di strati concentrici che, a mo' di buccia di cipolla, racchiudevano il punto dove sarebbe avvenuta la Prima Collisione.
Non poteva sapere – ma l'avrebbe dovuto avvertire nell'incanto di quella simmetria perfetta – che ognuno di quei piccoli rettangoli di silicio avrebbe contribuito a rilevare un segnale che, dopo il corretto allineamento dei raggi cosmici ottenuto grazie ad un algoritmo oscuro alle menti sublunari, avrebbe forse permesso di individuare la divina particella che necessariamente dona la massa a tutte le altre – facendo sì che la materia non si disperda nello spazio-tempo ma si riunisca a formare galassie, stelle, pianeti, montagne e oceani, piante e animali, i nostri stessi corpi, il segreto della fisica quantistica, la perfezione dell'universo.

Non è che l'ispettore pensasse in maniera così mistica e occulta per capriccio: aveva capito che solo cominciando a ragionare per associazioni, assonanze, sottotesti e implicazioni ultraterrene, avrebbe potuto risolvere il caso, perché quello era sicuramente il modo di procedere dell'assassino, che forse era un serial killer e avrebbe colpito ancora. Ma gli mancava la cultura necessaria, così la sua attenzione presto fu attratta da problemi più terra terra e, digiuno com'era di una sana formazione scientifica, azzardò una domanda pretenziosa.

"Mi dica, professore, come fate a progettare questo armamentario ed essere sicuri che, una volta che accenderete tutto, funzionerà come dovrebbe? Nel senso, per costruire una casa gli ingegneri sanno calcolare quanto deve essere spesso il muro portante, ma in questo caso..."
"Beh facciamo delle simulazioni..."
"Ah... e come fate a simulare tutte queste particelle che vanno in tutte le direzioni?"
"Fondamentalmente tiriamo dei numeri a caso!"
"Come dei numeri a caso? Per tornare all'esempio della casa... l'ingegnere non può mica tirare a caso lo spessore del muro se no..."
"...se gli ingegneri costruissero come i programmatori programmano, il primo picchio che passa distruggerebbe la civiltà... ma questa è un'altra storia. I nostri numeri sono tirati a caso ma poi ci ragioniamo sopra. Per esempio supponiamo che io voglia calcolare la superficie del lago di Ginevra."
"Eh, non è mica facile"
"Per nulla perché la forma non è regolare, non è che si può applicare qualche formulina semplice. Allora facciamo così... immaginiamo un rettangolo che racchiuda la superficie del lago..."

Monte Carlo sul lago di Ginevra
"facile no?"
"a questo punto, supponendo di poterne misurare i lati, calcoliamo l'area del rettangolo"
"base per altezza, questa la so persino io, professore, però mi pare un metodo un po' grossolano"
"diciamo che questa è una stima per eccesso. Come facciamo per migliorarla? Iniziamo a tirare sassi nel lago."
"facendoli rimbalzare?"
"Non necessariamente. Per la precisione supponiamo di tirare i sassi secondo una distribuzione uniforme su tutta la superficie del rettangolo."
"Diamine, bisogna avere una bellla forza per arrivare nel mezzo"
"È un esperimento ideale, ispettore! Ma se gettiamo a caso nell'area del rettangolo cosa può succedere?"
"Che magari non facciamo centro e becchiamo uno spettatore del festival jazz di Montreux."
"Esatto, allora facciamo così: dopo aver gettato il sasso aspettiamo di sentire SPLASH... Contiamo il numero totale di sassi ed il numero di splash. Poi stimiamo l'area del lago così: dividiamo l'area del retangolo per il numero totale di sassi e moltiplichiamo per il numero di splash."
"Ma quanti sassi ci vogliono?"
"Parecchi, ma per fortuna abbiamo i computer che lanciano i sassi per noi in dei laghi a n dimensioni! perché, vede, finché il lago è in due dimensioni si potrebbe anche tentare di calcolare la superficie in un altro modo, ma quando il numero di dimensioni è grande... bisogna tirare i sassi. Si chiamano metodi di Monte Carlo, per via del famoso casinò."

Un'illuminazione attraversò la mente dell'ispettore. Poteva anche lui applicare una sorta di metodo di Monte Carlo alla risoluzione dell'enigma: doveva solo formulare un buon numero di ipotesi, e dato l'ambiente dove si trovava queste dovevano essere quanto più possibile fantascientifiche e misteriose, e verificare quali stessero in piedi. Per la legge dei grandi numeri, gli era sembrato di capire, prima o poi avrebbe trovato la strada giusta, il Piano dell'assassino.
(3 - continua...)